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La diseducazione di Cameron Post

Regia di Desiree Akhavan vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La diseducazione di Cameron Post

di darkglobe
7 stelle

Errori educativi ed incertezze adolescenziali

La diseducazione di Cameron Post, diretto da Desiree Akhavan, affronta il tema della formazione della propria identità sessuale durante la fase adolescenziale, con una sceneggiatura sufficientemente solida e non scontata, scritta dalla stessa regista insieme alla produttrice Cecilia Frugiuele ed ispirata all’omonimo romanzo di Emily M. Danforth.
Il film è ambientato in Montana, anno 1993, in un centro di “diseducazione” alla omosessualità, ispirato alle teorie dello psicologo Joseph Nicolosi (morto giusto l’anno di produzione del film) sulla base delle quali tutte le persone sarebbero naturalmente eterosessuali ma a causa di traumi infantili, eventualmente amplificati da un padre assente ed una madre dominante, potrebbero essere portate all’omosessualità.

Protagonista è Cameron Post (Chloë Grace Moretz), giovane ragazza che ha perso entrambi i genitori e vive con la zia Ruth (Kerry Butler), credente ed all’antica. Ufficialmente fidanzata con un ragazzo, Cameron frequenta un corso di educazione alla Bibbia in cui perde la testa per Coley Talylor (Quinn Shephard) con la quale trova di nascosto da tutti complicità fisica fino a quando, ad una festa di ballo di fine anno, le due vengono scoperte a far l’amore sui sedili di una macchina.

Cameron viene per questo motivo spedita dalla zia al God's Promise, centro religioso gestito dal giovane reverendo Rick Marsh (John Gallagher Jr.), un omosessuale “guarito” che, insieme alla psicologa e sorella Lydia Marsh (Jennifer Ehle) si occupa di “curare” giovani adolescenti affetti dalla SSA (same sex attraction).


Si comprende da subito come in questo centro siano stati condotti vari ragazzi di cui i genitori hanno preferito affidare parte del percorso educativo e di crescita a terzi, nella speranza di risolvere quello che per loro rappresenta un problema morale e di immagine pubblica. Parliamo delle cosiddette “terapie di conversione” realmente esistenti negli USA ma dichiarate illegali in molti stati per gli effetti negativi provocati sugli adolescenti.

Appena arrivata al centro la valigia di Cameron viene ispezionata ed il reverendo le sequestra una musicassetta di Last Splash dei Breeders, facendole firmare in presenza della zia una liberatoria di accettazione del percorso di recupero.

Non esiste l’omosessualità, esiste solo la lotta contro il peccato che affrontiamo tutti (Lydia)


Cameron si ritrova come compagna di stanza Erin (Emily Skeggs), lesbica fortemente convinta, come altri ragazzi, di voler “guarire” al punto da guardare quotidianamente videocassette di lezioni di “aerobica cristiana”, ma nei fatti attratta dalla stessa Cameron. L’hippie Jane Fonda (Sasha Lane), vittima della fede evangelica del nuovo marito della madre, le dà invece dritte su come compilare l’iceberg consegnatole all’arrivo. Si tratta di un disegno che divide in due la piccola punta e la base del grosso pezzo di ghiaccio: la prima rappresenta l’attrazione per lo stesso sesso, la enorme base contiene le cause che dovrà lei stessa descrivere per spiegare la sua confusione sessuale. Jane le suggerisce come temi “l’incoraggiamento per la propria forma fisica e la competizione” e “l’eccesso di affetto fisico dei genitori”, argomenti che paiono molto apprezzati dai responsabili del centro.


Scioccante la prima seduta di terapia di Cameron in cui Dane Bunsky (Christopher Dylan White) aggredisce verbalmente i propri compagni, che lo accusano di sentirsi superiore agli altri e, rivolgendosi alla stessa Cameron, quasi incredula, afferma di non conoscerla ma che “basta guardarla per capire che è una lesbica”.

Tutto, sulla base dei ragionamenti un po’ allusivi e pretestuosi della dottoressa Lydia e della sua capacità di plagio mentale, diventa la chiave per spiegare l’omosessualità di ciascuno dei ragazzi e farli vergognare di se stessi, caricandoli di sensi di colpa e costringendoli a sedute collettive di preghiere, cori religiosi, arteterapia o autoanalisi, magari sdraiati sull’erba. Si va, leggendo il contenuto dei vari iceberg, dalla mancanza di affetto paterno, al tifare per sport maschili; dall’ossessione inadeguata per la propria collega del coro, a ridicoli traumi sessuali irrisolti causati da una sculacciata sul sedere di un compagno; dal troppo tempo passato con la madre in attività femminili, all’esposizione precoce all’alcol e alle droghe; dalla mancanza di un’unica figura stabile maschile, all’ammirazione per una persona dello stesso sesso come appunto dichiara Cameron quando, provocata per il suo mutismo, parla di Coley (“era perfetta, non era piena di sé, tu volevi essere sua amica”).


Si dice che i cannibali mangino solo i nemici che ammirano (Lydia)


Ma la stessa Coley nel frattempo ha spedito a Cameron una lettera, scaricando su di lei tutte le colpe della loro relazione e criticandola per essersi approfittata della loro amicizia, alimentando dunque nella ragazza ulteriori dubbi e sensi di colpa.


E se questa fosse la nostra sola possibilità e la lasciassimo andare?

Sono stufa di provare disgusto per me stessa (Cameron)

 

Cameron finisce per legare sia con Jane che col lakota Adam Red Eagle (Forrest Goodluck) il più contrario al metodo educativo adottato dall’istituto, che alla lunga gli sembra cambi la testa delle persone. Adam è convinto di avere due anime, una maschile ed una femminile ed è come se la seconda avesse ucciso la prima; ma il padre è entrato in politica, convertendosi al cristianesimo, e quindi il suo essere così “manda a puttane” la sua immagine.

L’angoscia più grande dei ragazzi sembra essere la solitudine ovvero l’isolamento dagli amici e lo spettro di un allontanamento definitivo dalla propria famiglia. C’è Helen Showalter (Melanie Ehrlich), cantante sbattuta fuori da un gruppo quando i compagni hanno saputo che era in cura; c’è il vano tentativo di Cameron di contattare telefonicamente la zia nella speranza che la riconduca a sé; segue, per finire, una vera e propria mutilazione di Mark (Owen Campbell), che, speranzoso di tornare a casa a fine semestre, viene invece duramente rifiutato dal padre.


Non ti permetto di tornare a casa a fine semestre ancora così effemminato, non posso accogliere questa debolezza in casa mia (padre di Mark)

Il reverendo, in un confronto privato con Cameron, le racconta in stato confusionale che “Mark ha usato un rasoio per tagliarsi più volte i genitali” ed è lì che la ragazza ha la netta percezione che gli istruttori non abbiano alcuna idea di cosa stiano effettivamente facendo, “limitandosi solo ad improvvisare”. Segue un’ispezione governativa nella quale, all’agente che si informa se vi siano stati abusi o negligenze, Cameron chiede se si interessino o meno degli "abusi emotivi" con i quali in quel posto “insegnano ad odiare se stessi”.

Il film si chiude con una fuga di Cameron, Jane ed Adam verso la California, essendosi ufficialmente allontanati per la loro periodica scampagnata.


La diseducazione di Cameron Post è un lavoro che riflette uno sguardo privo di moralismi e quasi disilluso su quanto accade nel centro di recupero, preso come riferimento per casi analoghi, e sulle difficoltà emotive che vivono i ragazzi al suo interno: pur nella totale assenza di elementi di soffocamento fisico e claustrofobico, i metodi adottati dal God's Promise sembrano essenzialmente agire sulla psiche, con logiche di ricatto ed umiliazione del sé. La critica a tali metodi è dunque spietata, soprattutto perché mostra come tendano a demolire l’integrità piscologica di ragazzi fragili ed incerti nelle proprie inclinazioni.

Alcuni di loro sembrano stoicamente resistere, pur costretti dai parenti a “curarsi” in quel luogo, e paiono essere cresciuti in fretta per riuscire a farlo; altri soccombono di fronte alle devastanti pressioni familiari e dell’istituto. L’unico momento in cui tutti riescono a rinunciare alla compostezza formale necessaria a convincere i docenti della propria “guarigione” avviene quando, mentre pelano patate, passa per radio What’s Up? delle 4 Non Blondes l’hit dell’anno, con Cameron che inscena sul tavolo un playback liberatorio tra il plauso degli altri ragazzi.


Cameron stessa, nonostante il suo mutismo ed i suoi dubbi, vive ripetute fantasie o flashback che da un lato ripercorrono i momenti di condivisione  e passione con Coley (sintomatico che guardino insieme Cuori nel deserto) o quelli asettici con il proprio ragazzo (durante un amplesso lei osserva la natura liberatrice attraverso una apertura sul soffitto); dall’altro mostrano gli aspetti drammatici di quel legame legati alla paura di essere scoperti ed alla successiva rottura definitiva. Le atmosfere d’inquietudine e turbamento emotivo in tal senso sembrano quasi rimandare, pur se non intenzionalmente ma per semplice condivisione di tematiche, a quelle analoghe di Fucking Åmål.

Di certo da questo film viene fuori anche una atroce rappresentazione dell’arretratezza e rigidità culturale e morale di certi nuclei familiari statunitensi, intrisi di moralismo, bigottismo, ipocrisia, egoismo ed opportunismo che segnano una distanza ed una incomunicabilità incolmabili verso i figli ed in generale verso il mondo degli adolescenti su cui spesso scaricare i problemi. Non c’è dunque da sorprendersi se perfino tra i ragazzi circoli analoga snellezza culturale: caso emblematico è quello della succitata seduta di terapia in cui Dave, nel suo moto di rabbia, adotta un metodo lombrosiano per demolire la spaesata Cameron.

Tecnicamente abbondano i primi piani sui volti dei protagonisti, che rivelano attraverso le smorfie del viso stati d’animo o smascherano pulsioni soffocate, che in un luogo del genere o vengono del tutto annichilite con metodi coercitivi, a volte prossimi al ridicolo, o sembrano addirittura amplificarsi.

L’ingresso nella comunità di Cameron ricorda in qualche modo Gonne al bivio, vecchio teen-movie (nonostante la sua leggerezza divenuto quasi inspiegabilmente icona filmica di genere gay) che narra di una situazione simile di incertezza sessuale di una giovane cheerleader e del suo necessario percorso di disambiguazione in una comunità per le “guarigioni”. Ma ne La diseducazione di Cameron Post gli sviluppi, pur nella totale assenza di elementi melodrammatici e nella presenza finanche di passaggi comedy pervasi da una certa ironia, sono tali da ricondurre ad un convinto ed instancabile, quasi sfidante, approfondimento della tematica. La critica alla religione cristiana pare in tal senso più indirizzata all'uso strumentale, ottuso ed ipocrita della stessa che alla fede in sé.


La fuga finale dei tre amici, pur se attraverso un percorso duro e travagliato, altro non è che la decisione di vivere con coraggio sulla propria pelle il diritto all’autodeterminazione di se stessi e di scegliere da sé il proprio stile di vita.


Il film ha vinto il Gran Premio della Giuria U.S. Dramatic al Sundance Film Festival nel 2018.

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