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Under the Silver Lake

Regia di David Robert Mitchell vedi scheda film

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La recensione su Under the Silver Lake

di mck
7 stelle

“Zur Einführung des Narzißmus”, ovvero: My Favorite Wives (the celibate said).

 

 

Se l’Alfred Hitchcock di “Vertigo” e di “Family Plot”, il Brian De Palma di “Body Double” e “Femme Fatale”, il David Cronenberg di “Maps to the Stars”, il David Lynch di “Blue Velvet”, “Lost Highway” e “Mulholland Drive”, il John Carpenter di “They Live” e il Paul Thomas Anderson (e il Thomas Pynchon) di “Inherent Vice” – mentre il momento Cukor/Monroe/Martin (e Lawrence Schiller) di “Something's Got To Give” (“Enoch Arden” di Alfred Tennyson → “My Favorite Wife” di Garson Kanin) è ricreato letteralmente grazie a Riley Keough (Magic Mike, "Mad Max: Fury Road", American Honey, the Girlfriend Experience, the Discovery, It Comes at Night, the House That Jack Built, Hold the Dark, the Devil All the Time) e l’Hollywood Forever Cemetery (al 6000 di Santa Monica Blvd., Hollywood, Los Angeles, California, USA) verrà rivisitato un lustro dopo nel rifacimento di “Swimming with Sharks” – fossero nati da ¾ di secolo a un altro lustro dopo allora questo “Under the Silver Lake” di David Robert Mitchell (“the Myth of the American Sleepover” e “It Follows”: from Detroit to L.A., confermando la squadra: fotografia del poi anche shyamalaniano, oltre ad “Us”, Mike Gioulakis, montaggio di Julio C. Perez IV e musiche di Richard Vreeland, aka DisasterPeace, con supervisione alla track list - da Brimful of Asha in su o in giù - di Michael Turner) sarebbe un loro film. Diretto da Richard Kelly (o Edgar Wright).

 

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“Nascondere un messaggio in un messaggio: ecco una cosa che Gesù non farebbe, mai!”

 


Metamediale fulcro del giroscopico film, Patrick Fischler (già nello “Swimming with Shark” originale di George Huang e poi nel già citato “Mulholland Drive” di David Lynch, autore col quale tornerà a lavorare per “Twin Peaks - the Return”), al quale giringirano intorno Topher Grace e Jimmi Simpson (gli amici più o meno aimless), Riki Lindhome (l’amica - con benefici di letto - attrice), Jeremy Bobb (il demiurgo), David Yow (the Homeless King), Callie Hernandez (che morendo per mano di una traiettoria delilliana invera la copertina di PlayBoy sulla quale apparve), Don McManus (il poligamo sepolto vivo) e Wendy Vanden Heuvel (i gufi, i pappagalli e le donne-civetta non sono quello che sembrano; semi-citazione parafrasata). 

 


“È la cultura pop, non trovi? Vola via come un fazzoletto di carta: mi ci soffio il naso. Trovo un kleenex usato, lo riciclo, ed ecco la canzone del tuo matrimonio: eccola qui! I wanna know what love is… I want you to show me!” (va beh, sono i Foreigner, mica i King Crimson o i Nirvana! Ops…).

 

 

Fantasmi, vampiri, streghe, orchi, lupi mannari, Gesù: i computer, i device e Internet sono i nuovi gaimanian-perturbanti (american) gods.

 


“Ah! So che non dovrei dirlo, ma io, cazzo, odio i senzatetto. Tutti dicono che dobbiamo prendercene cura, ma sono solo dei maledetti prepotenti. Fantasmi. Non fanno altro che strisciare ai margini, nelle periferie, e guardano la gente mangiare cibo meraviglioso, bere birra, e innamorarsi. Loro non possono partecipare, e quindi sono invidiosi e ci perseguitano.” 

 


Anacoluto del giorno: la vita, non c’e modo di uscirne vivi, tanto vale starci bene.
E a tal proposito, a prescindere dal tardo finale tragico (ma quale, a parte le tempistiche, non lo è?), tra la scelta di Janet Gaynor (“7th Heaven” di Frank Borzage – di cui assistiamo alla scena, a 3/5 del film, del “It’s Funny… It Hurst!”, sul non essere abituati all’essere felici per amore –, “Sunrise: a Song of Two Humans” e “A Star Is Born”) di eclissarsi dalla vita pubblica e quella trogloba operata e messa in atto dalla Sarah di Riley Keough (in zona Shooting Star - meteora, stella cadente: Elizabeth Short, da James Ellroy allo stesso De Palma - Escorts con Bobbi Salvör Menuez ("I Love Dick") & Sydney Sweeney) e dalla Troy di Zosia Mamet (non il miglior modo di mettere in pratica, con Betty Grable e Lauren Bacall, oltre a Marilyn Monroe, il “How To Marry a Millionaire” di Jean Negulesco & Nunnally Johnson), è abbastanza facile scegliere…  

 

(Janet Gaynor - "Pink and Yellow Roses" - 1977 - olio su tela)


E i R.E.M. di “Strange Currencies” (da “Monster”, album mastodontico - circondato da due capolavori quali “Automatic for the People” e “New Adventures in Hi-Fi” - da cui è ripreso nel corso del film anche il brano d’apertura, “What's the Frequency, Kenneth?”, che la Ragazza dei Palloncini, Grace Van Patten, non conosce, ma ugualmente - poi, magari c’entra qualcosa anche Andrew Garfield, eh! - la balla: “I'd studied your cartoons, radio, music, TV, movies, magazines...”) in chiusura: “I need a chance, a second chance, a third chance, a fourth chance, a word, a signal!”  

 


Un film che non va d’alcuna parte, percorrendo sentieri già tracciati, ma che, ipogei, corrono seminascosti nell'underworld losangelino-californiano-statunitense...

 

(e presentando ameni scorci suburban-bucolici dei dintorni fuori dai set di una per l’appunto L.A. poco frequentata dal cinema: tipo questi...

...e non questi, oltre...

...la Yellow Brick Road, come solo in alcune ctonie opere traverse di Wim Wenders o nellOnce UpOn a Time in... HollyWood tarantiniano)

 

...che accoglie e nutre il sottobosco cospirazionista/complottista, con la certezza che a volte ci si può anche dedicare a unire i puntini senza per forza buttarsi sui cruciverba senza schema e crittografati. 

 

 

“Zur Einführung des Narzißmus”, ovvero: My Favorite Wives (the celibate said).

* * * ¾   

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