Regia di Lynne Ramsay vedi scheda film
È una notte piena di incubi, come quelli che Joe vive o crede di vivere. È come un sopravvissuto nelle retrovie del Vietnam o dell’Afghanistan, dove pur se ferito gravemente vai avanti perché c’è solo un obiettivo da raggiungere e nulla ti può fermare, nulla finché non vedrai l’alba di un nuovo e bel giorno nella tua vita e in quella di Nina.
Più va avanti la carriera di Joaquin Phoenix più mi rendo conto che ogni visione dei film che lo vedono protagonista sono un’esperienza visiva ed emozionale, un transfert psicologico di ciò che lui trasmette tramite il fisico massiccio e il sguardo magnetico allo spettatore. Anche se se l’è cavata tanto egregiamente con la commedia/thriller di Woody Allen (Irrational Man, qui la mia recensione) è chiaro che il meglio riesce a darlo con le situazioni e i ruoli da persona fuori dall’ordinario, da uomo che vive situazioni anomale, spesso borderline (vedi The Master, recensione, ma anche tante altre). Gli viene naturale sia per il fisico che per una predisposizione congenita del suo modo di recitare. Questo suo Joe è un personaggio che come al solito caratterizza fortemente il film, fino al punto che si potrebbe affermare che è prima di tutto un’opera attoriale. Però così non si renderebbe giustizia alla regista Lynne Ramsay che di suo ci mette tanto. E non solo in questo film, dato che lei si è fatta ben conoscere con gli altri due precedenti, ma specialmente con lo spiazzante …e ora parliamo di Kevin. Già in quella occasione si poteva notare che il suo cinema provoca e si diversifica dalla marea predominante e se qui ha voluto fermamente il fenomenale Joaquin, lì accostava tre attori ben differenti, per vocazione e caratterizzazione: Tilda Swinton, John C. Reilly e Ezra Miller.
Sì, lei Joaquin Phoenix lo ha voluto fortemente e come ha dichiarato ha dovuto girare il film in fretta e furia in tre mesi per incastrare le giornate di riprese in mezzo agli altri numerosi impegni dell’attore, che con quel barbone sul viso lo abbiamo visto anche nel particolare e interessante Maria Maddalena.
Il Joe di Joaquin Phoenix è un uomo ormai rovinato dal suo passato, molto dai suoi trascorsi di agente FBI e militare, ma moltissimo e rovinosamente dalle brutte esperienze di fanciullo in una famiglia in cui il padre violento quasi ammazzava sua moglie, rimasta alquanto devastata mentalmente da quelle violenze e che lui accudisce con alterne attenzioni. La sua trance predomina l’attività che svolge con costanza: quella di ritrovare bambine rapite per essere avviate a giochi crudeli di uomini perversi. Tra incubi ricorrenti e ricordi d’infanzia atroci, entrambi grondanti di sangue, agisce in maniera felpata e veloce, sempre con un martello, molto simile a quello che intravedeva nelle mani sanguinanti del padre. Un martello che ci fa andare con la memoria a quello del Drive di “refniana” memoria e qui usato con costanza e potenza devastatrice, come una pena di morte preannunciata per chi intralcia il suo tragitto di liberatore delle anime candide che abitano in fanciulline giovani che deve assolutamente trovare e riportare a casa. La decisione e la risolutezza non gli mancano e ogni volta è un viaggio allucinato e allucinante in alberghi e case di persone potenti e ben protette, ad ogni livello, fino a far scatenare una controreazione ancor più sanguinaria che non lascia feriti sul campo.
È più il non detto, il non raccontato, secondo lo stile della regista: devi intuire tutto ciò che non è mostrato. L’opera dello spettatore è quella di ricucire i pezzi intuiti che mancano al resto mostrato. Il che dà maggior efficacia all’atmosfera spesso rarefatta che ammanta il film.
La trama è come una notte piena di incubi, come quelli che Joe vive o crede di vivere. È come un sopravvissuto nelle retrovie del Vietnam o dell’Afghanistan, dove pur se ferito gravemente vai avanti perché c’è solo un obiettivo da raggiungere e nulla ti può fermare, nulla finché non vedrai l’alba di un nuovo e bel giorno nella tua vita e in quella di Nina, l’ultima fanciulla da salvare. C’è terra bruciata ormai intorno a Joe e la via si fa sempre più stretta, ma come un giustiziere della notte, come un vendicatore senza nome, lui non ha alcuna voglia di arrendersi. Fino al momento in cui, dopo l’ennesimo incubo che la regista ci fa credere come fatto reale – cosa ci riserva ancora per il futuro questa dannata donna chiamata Lynne Ramsay? – Joe si risveglia con un viso limpido e pulito, come fosse un altro uomo, di fronte a Nina che ha una faccia finalmente serena e viva. E tutto sembra dirci che lei “You Were Never Really Here”, ma soprattutto e finalmente (che sollievo!) “Joe, svegliati! Andiamo! È una bella giornata.” “È proprio una bella giornata!” ribadisce lui. E riparte il ritornello di If I Knew Were Comin’I’d’ve Baked a Cake di Eileen Barton.
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