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Io sono Tempesta

Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film

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La recensione su Io sono Tempesta

di alan smithee
6 stelle

Nel giro tortuoso, tentacolare e dantesco della finanza che fagocita e distrugge, spolpa tanti piccoli per rendere sempre più grandi i pochi scaltri, Numa Tempesta può dire di avercela fatta. Proprio per questo però, non fidandosi più di nessuno – forse anche per paura che chiunque altro possa essere infido e traditore quasi quanto lo è lui – l’immobiliarista ed uomo d’affari si è ridotto a vivere la sua solitudine dorata all’interno di un lussuoso hotel completamente vuoto, seppur arredato in ogni stanza e con ogni comfort.

Quando la giustizia, burocratica e meccanica, finisce per condannarlo a causa di un vecchio contenzioso fiscale – di sicuro di poca cosa rispetto agli attuali giri del finanziere – e l’uomo viene condannato a scontare un periodo di lavori utili presso un centro di accoglienza per senzatetto in qualità di assistente dei più bisognosi, ecco che, dal contatto con quella singolare fauna di diseredati o sconfitti dalla vita, emerge una nuova possibilità per lo scaltro individuo: non certo di redenzione, quanto piuttosto cogliendo la palla al balzo per garantirsi i presupposti per beneficiare di una opportunità fortuita che gli consentirà di portare a temine un complicato affare in una sperduta regione kazaka, in pieno Medioriente.

Quanto ai diseredati poi, in cambio di denaro, questi saranno disposti ad elogiare con enfasi l’operato del loro nuovo assistente, tentando in tal modo di falsare e fuorviare il giudizio della ligia e seria referente in capo al losco faccendiere.

E’ tornata la bufera, si potrebbe dire, parafrasando un vecchio titolo dell’autore, a proposito dell’ultimo, nuovo lavoro di Daniele Luchetti, che con questo scanzonato e satirico Io sono Tempesta, torna nei paraggi della commedia di costume che non rinuncia ai personaggi parodistici, coloriti e colorati, che hanno messo in evidenza l’autore da fine anni ’80.

E se la pellicola, per nulla nuova od originale, punta spudoratamente sui personaggi macchietta, sulla farsa di costume che descrive a tinte pecorecce un paese allo sbando dato in pasto ad avvoltoi che spremono sempre lo stesso gregge di pecore ottuse e arrendevoli, c’è anche da dire che in fondo l’operazione funziona, qualora presa con lo spirito condiscendente e l’animo in pace di chi apprezza l’ironia e la goliardia di un teatrino di mostri creati sulla falsariga di una realtà assai più grigia e drammatica.

E se Marco Giallini è l’uomo ideale ad incarnare – nel fisico alto ed asciutto, come nella postura - il bieco approfittatore alla Gassman, ancora più convincenti appaiono, più che il ragazzo-padre Bruno, precipitato dalla scala sociale dalla medietà alla totale indigenza (lo interpreta col nervosismo consueto un pertinente Elio Germano),  i personaggi minori o di contorno: uno è quello della suora laica che crede (ancora) nella possibilità di redenzione dell’essere umano, e della efficacia concreta di una pena espiativa in grado di elevare chi ha offeso e sopraffatto il proprio simile. I fatti paleseranno tutto il contrario, e giustificheranno una sua scelta radicale fino a quel momento rimasta in sospeso. Un personaggio curioso, quasi un fumetto, reso con efficacia e piglio scientemente attutito, dalla valida attrice e regista Eleonora Danco che abbiamo apprezzato molto al TFF nel suo esordio da regista ed interprete del sognante ‘Ncapace.

Ma ancora e soprattutto donne, nell’ambito dei quali spiccano senza dubbio le tre studentesse-squillo, tra le quali emerge, per bellezza e sfrontata coinvolgente comicità, la irrefrenabile Radiosa, interpretata dalla splendida Simonetta Columbu: un trio di psicologhe da manuale, simbolo esilarante di una sfrontatezza che supera ogni soglia di immaturità immaginabile, peraltro pertinente col bestiario vivente che trova la sua apotesi più perfettamente incongrua nei festini in hotel, generosamente (si fa per dire) offerti da un solitario Numa. Un uomo in fondi cosciente del proprio isolamenrmto, e ormai consapevole di essersi scientemente allontanato da ogni residuo scampolo di umana e non lucrosa frequentazione, per una sorta di diffidenza latente che lo rende idoneo solo a  fagocitare il prossimo, senza riuscire più a rapportarcisi.  

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