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Io sono Tempesta

Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film

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La recensione su Io sono Tempesta

di supadany
5 stelle

La crisi economica su scala mondiale del 2008 e la successiva - principalmente italica - sviluppatasi nel 2011, hanno contribuito ad accentuare le differenze sociali. Le classi agiate sono diventate sempre più ricche e ben disposte alla frode per incrementare i loro patrimoni, mentre i poveri sono cresciuti numericamente, con tante persone inghiottite in uno stato d’indigenza, impossibilitate al reinserimento in un mercato del lavoro avaro di proposte. Raramente queste entità entrano direttamente in contatto tra loro, ma quando succede possono verificarsi dei cambiamenti, non facilmente calcolabili.

Nel caso di Io sono Tempesta, le tabelline della vita danno un risultato corretto solo a comando, finendo invece troppo volte nel campo dell’aleatorietà o, peggio ancora, in rappresentazioni stereotipate, fino ad arrivare al limite di fastidiose macchiette.

Per non finire in prigione, l’uomo d’affari Numa Tempesta (Marco Giallini) accetta, pur con reticenza, di svolgere i servizi sociali presso un centro di accoglienza che si occupa di chi è finito in mezzo a una strada.

In questa circostanza, così lontana dalle sue abitudini opulente, conosce Bruno (Elio Germano) e un gruppo di senza fissa dimora che cercherà di corrompere per accorciare la sua pena. Grazie al suo denaro, non avrà problemi a instaurare un rapporto di empatia, ma il loro legame andrà ben oltre.

 

Elio Germano, Marco Giallini

Io sono Tempesta (2018): Elio Germano, Marco Giallini

   

L’idea alla base di Io sono Tempesta, nasce nella testa di Daniele Luchetti dalla reclamizzata esperienza di Silvio Berlusconi nei servizi sociali, svolti per scontare una pena inflitta per frode fiscale.

Si tratta di uno spunto che non dà il là a niente di biografico, semmai propedeutico alla formulazione di una commedia all’italiana, con risate amare inserite in una griglia d’infelicità e degrado, economico ma prima ancora morale, tra chi ha tutto e non si accontenta, chi pensa di poter risolvere i suoi problemi con la corruzione, chi si barcamena per tirare avanti, con un lavoro che non consente di sognare o un’occupazione svilente per terminare gli studi universitari, e chi ha finito ogni opzione e perso ogni cosa.

L’attenzione è comunque concentrata sul Tempesta del titolo, interpretato da un accigliato Marco Giallini, ma lo svolgimento richiama molti altri personaggi di contorno, tra i quali il regista ritrova Elio Germano dopo la più gratificante esperienza de La nostra vita, che introiettano fin troppi luoghi comuni, per di più con pochi minuti di gloria a disposizione prima di essere abbandonati a un mesto destino narrativo.

Inevitabilmente, questa sensazione cresce di pari passo con l’intreccio, che ha il merito di non incanalarsi nel più classico processo di redenzione, ma anche il limite di non essere composito, ad esempio la suddivisione in capitoli appare pretestuosa, mentre troppi passaggi di focus sono trancianti.

Ne consegue la messa a repentaglio di ogni forma di solidità, con un assetto pieno di abbozzi, tanto più se si pensa che il film dura poco più di novanta minuti (quindi, con tutto il tempo per apporre riempimenti o correttivi), preferendo girare attorno agli ostacoli che si presentano invece di trovare un modo per saltarli di slancio.

 

Marco Giallini, Elio Germano

Io sono Tempesta (2018): Marco Giallini, Elio Germano

 

A prescindere da questi difetti, Io sono Tempesta cerca comunque di parlare delle difficoltà che, a vario titolo, ammantano gli stili di vita che contraddistinguono l’attuale società, ma è frettoloso, mettendo tanti temi sul piatto senza cucinarli con dovizia. Con un modus operandi del genere, le riflessioni annesse, tra le quali figurano la contaminazione di diverse lunghezze d’onda di pensiero, la predisposizione naturale alla frode, la conoscenza che piega scogli in apparenza insormontabili, si sfilacciano e una struttura narrativa, per scelta non rigidamente imposta, vacilla.

Uno spartito con qualche nota stonata di troppo, un Daniele Luchetti lontano dall’ispirazione migliore (per alcune assonanze, vedi Il portaborse).

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