Regia di Rubén Imaz vedi scheda film
FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2017 - SELEZIONE UFFICIALE
"Un vecchio e il mare": quello che prima di tutti ha trovato la materia della svolta: l'oro per alcuni, la peste per altri.
Circostanza questa, di certo rivoluzionaria, ma che non è servita a fargli fare fortuna, nonostante non possa che attribuirsi a lui la relativa scoperta.
È il vecchio Romero il primo che ha scoperto in mare aperto un giacimento di petrolio, travolgendo, dopo tale circostanza, l'economia locale da sempre votata alla pesca, ad un timido turismo, ed ora invasa dalle multinazionali petrolifere.
Romero è diventato dapprima una leggenda, poi una sciagura: nelle sue tasche nulla di nulla, tranne qualche umiliante contentino di managers spregiudicati che godono a tenerlo in perenne stato di ebbrezza, approfittando del suo congenito stordimento senile.
Ma il pericolo per il vecchio, che vive e parla, si rapporta e litiga con i fantasmi della sua stirpe, non sono loro, né tantomeno i pescatori infuriati: è la natura la vera minaccia: una madre che vive, respira, ama e crea, ma può infuriarsi e distruggere.
Alla vigilia di una tormenta giudicata potenzialmente distruttiva, i fantasmi della famiglia tornano da Romero per fare un bilancio di un'esistenza con troppe incognite lasciate in sospeso.
Sarà pure anche un meraviglioso, cupo e teso esercizio di stile questo Tormentero, ma la potenza di in creato che si espande anche quando messo alle corde, risulta davvero potente.
E l'inquietudine, l'incertezza, l'idea di riunirsi attorno ad un focolare in grado di proteggere persino le anime di chi non c'è più, diventa una ossessione palpabile, che le abili inquadrature insistenti e la musica torva che le incita, trasforma in visioni di morte, o di qualcosa di molto simile.
Ed è la potenza che emanano le riprese a stordirci, a farci accapponare la pelle, a darci quei brividi salutari che solo un film che sa emozionare con la propria forza evocativa, è in grado di provocarci.
L'acqua acquitrinosa da cui fuoriesce il liquido oleoso nero, l'opulenza della vegetazione che marcisce per riprodursi ancora più potente, rappresenta un elemento che conviene tenersi come alleato. Romero lo sa molto bene, ma nessuno pare ascoltarlo veramente.
La natura è un'altra volta donna, evocata dell'anziano pescatore e mostrata esplicitamente sul finale, quando la sua prorompente sensualità spinge l'uomo a sfruttarla, a violarla; scatenando la sua furia più incontenibile, che si manifesta con avvisaglie sinistre e sospette, qui rappresentate anche da una pioggia quasi biblica di noci di cocco dalle ttemanti ed oscillanti palme circostanti.
Forse la follia, la demenza senile e l'ebbrezza da troppe bevute possono essere l'unico palliativo utile per superare le conseguenze di questa ira ampiamente preannunciata, e meritata.
L'influenza di maestri messicani del calibro di Reygadas o Escalante (pure loro spesso accusati impropriamente in passato di "esercitarsi stilisticamente") appare evidente, oltre che necessaria a trasformare un piccolo film come Tormentero in un gioiello di inquietudine e di senso di colpa, quella stessa che tormenta il nostro vecchio pescatore ubriaco tramite i fantasmi della sua disgraziata stirpe di miserabili irrisolti esseri viventi.
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