Regia di John Carroll Lynch vedi scheda film
Fortunato, già. Harry Dean è stato un uomo fortunato, lucky. Ha attraversato la vita vivendola a fondo, passando dal nativo Kentucky a un lembo di terra sperduto, sul confine fra la California e il Messico e in mezzo l'ha riempita di grandi caratterizzazioni, di canzoni, di donne, di bevute e di sigarette. Una vera icona, già raccontata dal bellissimo "Partly Fiction", doc del 2013. Qui, JC Lynch, nessuna parentela con David, che si ritaglia una gustosissima parte in "Lucky", lo tributa in un film di finzione, ma che, evidentemente, è quasi documentaristico: Harry Dean Stanton recita come Lucky ma è la sua vita che interpreta, è la sua filosofia, asciutta e netta come quella piccola città in cui ha deciso di vivere gli ultimi giorni della sua vita, che ci racconta. Un commiato straziante e reale, un film che non ha una trama precisa, se non un canovaccio dove si alternano, attorno alla figura magra ma imponente di Stanton, tutta una serie di amici con cui il nostro si confronta e riflette sulla morte e su quello che è stato vivere. Momenti straordinari (Harry Dean che canta "Volver" a una festa messicana di compleanno, (lacrime), o che si rigira nel letto, spaventato dall'inevitabile, mentre Cash canta "I See a Darkness), si alternano alla quotidianità di Lucky, alle sue parole crociate, alle sue misteriose telefonate, al bar, alla sua camminata strascicata, ai suoi stivali da cowboy. Un film meraviglioso, un regalo d'addio vuoto di retorica e colmo di bellezza. Un uomo raro, come non ce ne saranno più. Dolce e amaro, triste e allegro, come una di quelle canzoni mariachi che Harry Dean amava tanto. So long, moonshiner.
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