Regia di John Carroll Lynch vedi scheda film
Accomiatarsi dal cinema, come dalla vita, nel modo sublime ed "illuminato" in cui è riuscito a fare,chissà quanto scientemente, Harry Dean Stanton in questo struggente film-verità, non è da tutti. Ma non è da tutti esser stato un attore-caratterista-protagonista fondamentale e indimenticabile come lo è stato lui. Un piccolo film su un grande addio.
CINEMA OLTRECONFINE
Lucky vive al confine di quegli States dimenticati dal tempo, dove il refrain della celebre indimenticata canzone western Red River Valley, suonata dalla fisamonica a bocca di uno stentato e ossuto novantenne, rimane un affascinante e suggestivo eco pertinente e doveroso, laddove ostentare certe atmosfere di un tempo selvggio ed ostile, ma affascinante, rimane l'unica soluzione per rimanere un pò vivi trovando una ragione per andare avanti.
Lucky ha superato i 90, e pare voler continuare imperterrito, segaligno, energico come un soldatino; è arzillo e quando cammina ostenta sicurezza ed un equilibrio impostato che in realtà si sforza di far credere che esista, ma che da tempo non padroneggia più molto. E fuma, fuma tutto il santo giorno, per combattere la noia, per sfidare una solitudine prescelta e condivisa come una ricchezza inestimabile, ma che non lesina una malinconia di fondo in cambio della libertà più totale.
Un cancro lo consuma ormai da tempo immemore, ma la piaga si propaga piano, procedendo lentamente, forse inesorabile, ma senza colpi di coda traditori: di qualcosa bisogna pur morire, e Lucky ben lo sa; lo stesso medico gli consiglia bonariamente di non smettere di fumare, perché questo miracoloso bilanciamento di veleni che costantemente il vecchio introduce nel corpo per via gassosa, anzi fumosa, forse è stata la micidiale soluzione in gradi certamente di condannarlo da una parte alla malattia terminale, ma pure forse dall'altra la formula miracolosa e bilanciata utile per tenerlo in vita così a lungo.
Al bar del piccolo paesenel deserto che lo ospita, Lucky è amico di tutti, tanto che qualcuno ormai tollera pure che il vecchio fumi nel locale. Alcuni clienti gli raccontano ogni cosa, come quell'uomo d'affari col cappello color sabbia che gli confida di aver smarrito la sua tartaruga centenaria, confessando che questa perdita gli procura una grande ansia (lo interpreta niente nìmeno che David Lynch, amico e regista di riferimento per Stanton), ma anche una serenità legata al pensiero di una libertà ritrovata dopo decenni di vita in cattività.
Le giornate trascorrono tra pronto soccorso, ove il vecchio viene soccorso dopo uno svenimento, giri tra strade polverose e deserto, feste di compleanno di vicini ove il vecchio improvvisa doti canore gradevoli e una vaga ma efficiente conoscenza della lingua ispanica, incontri con reduci di guerra di marina, come lui che fu cuoco sotto le armi (ritroviamo il glorioso Tom Skerritt nella parte dell'ex militare in ottima forma).
Poi, sulla strada per il ritorno a casa, lo sguardo ammirato su un cactus secolare che pare un totum a cui consacrarsi, fa scattare la scintilla che porterà Lucky all'illuminazione: alla comprensione dei misteri della vita. In quel momento riapparirà - a proposito di centenari - la tartaruga persa del suo amico malinconico: tranquilla e placida come se tutto continuasse inesorabilmente a scorrere tranquillamente.
Se c'è un attore degno di ruoli mitici, quello è stato Harry Dean Stanton, grande anche solo quando è stato un contorno di lusso, splendido quando ha fatto la differenza, trasformando un buon film in un un capolavoro.
Se c'era un attore che meritava un commiato formale ed ufficiale dal cinema e dalla vita, quello era Harry Dean.
Davanti alla macchina diretta dall'attore caratterista John Carrol Lynch - che non deve fare molto in regia, solo lasciare che l'attore si muova interpretando se stesso - ma ha saputo indubbiamente cogliere l'attimo, complimenti!!! gliene diamo atto - Stanton giganteggia consapevole di essere mai come questa volta un tutt'uno col suo personaggio.
Un Lucky che potrebbe riprendere tranquillamente il personaggio del fratello del protagonista del capolavoro Una storia vera del 1999 (per rimanere tra i Lynch), concludendo al meglio la sua strada di vita e di interprete, con l'onore che spetta ai grandi e con l'illuminazione della saggezza che lo coglie guardandoci e salutandoci per sempre con un sorriso tenue ma anche ironico, rivolto a noi spettatori, commossi e straniti da questa grazia, e da questo regalo ricevuto da un grande artista...
Un pò cow boy, un pò randagio, molto figlio del deserto, completamente schiavo, consapevole e goduto, della nicotina.
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