Regia di Noémie Lvovsky vedi scheda film
FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2017 - ALICE NELLA CITTA' - IN COMPETITION
Bambini che maturano precocemente a causa dell'immaturità, del vizio, della follia che devasta le menti dei loro spesso pur amorevoli genitori, tanto da renderli inattendibili, non adatti al loro mestiere naturale di insegnanti di vita.
E lascioando il bambino crescere maturando una propria maturità di vita che costituisce quasi una forma inconscia di sopravvivenza.
Mathilde avrà otto anni, vive con la madre, stramba, anzi folle a seconda di tutti coloro che la conoscono o frequentano, e dopo che il padre è scappato, per motivi abbastanza intuibili.
Il giorno in cui la folle, eccentrica madre regala alla figlia un gufo, questa scoprirà che l'animale riesce a parlarle, e che dalla sua voce escono le parole della coscienza, quella che da tempo non ha più l'eccentrica madre vicina a perdere completamente ogni forma di assennatezza.
La Lvovsky, attrice molto nota in patria francese e non alla prima avventura registica o come sceneggiatrice, ci racconta la maturazione forzata della piccola Mathilde attraverso un'avventura di vita che diviene quasi una favole, per atmosfere e per certe indovinate soluzioni estetiche che talvolta intervengono magicamente a dipingere ed adornare una realtà che non può, comunque, non apparire un pò edulcorata e chiusa in un suo mondo dorato.
La Lvovsky, che si ritaglia il non semplice ruolo principale della folle madre (il padre separato ed in fuga è Mathieu Amalric), punta la camera e ogni attenzione sia sulla fotogenica e portentosa espressività della piccola Luce Rodriguez, sia sui vezzi naturali del pennuto selvatico che, col suo misterioso e cupo atteggiamento, appare ben più espressivo e loquace di quanto ci si potesse oltremodo immaginare.
Certo il film stempera in sentimentalismo un pò spicciolo problematiche in sè davvero scottanti e oprimarie, e certo dopo aver preso visione, pure lui nel medesimo concorso, del tedesco The best of all worlds, che pure lui riflette sul disagio minorile di non poter contare su una maturità genitoriale salda ed efficiente, questo della Lvovsky, pur con le migliori intenzioni, rimane decisamente in secondo piano sia per intensità di situazioni, che per il pathos che riesce a tirar fuori, costretto come tradizione a dover far conto sulla graziosità scenica di certi animali e sulla verve naturale di un attore bambino particolarmente versatile.
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