Regia di Erik Smith Meyer vedi scheda film
In un paesino norvegese vivono la bella Anna e suo padre, il burbero alcolizzato Karl, tormentato dal fantasma della moglie da lui uccisa dopo essersi scoperto tradito. Il frutto di tale tradimento è stato un bambino di colore, da Karl abbandonato in una culla in mezzo al mare. Un giorno un ragazzino nero bussa alla porta dei due, ma nel frattempo arrivano anche la bieca Ellen e suo figlio Normann, stupido, grassoccio e innamorato di Anna.
Svidd neger, letteralmente “Negro bruciato”, è l’esordio in lungometraggio per il norvegese Erik Smith Meyer, che sceglie l’atipico registro – quantomeno per il cinema scandinavo – della commedia surreale per la sua opera prima. Scritto da Stein Elvestad, anch’egli al debutto e futuro regista a sua volta, il film racconta una storia di bifolchi e violenti, personaggi sopra le righe dalle fattezze e dalle movenze fumettistiche, il tutto improntato a un lieto fine completamente a sorpresa intinto in una succulenta miscela fra romanticismo e puro splatter. Un po’ fiaba, ma senza una morale in senso stretto, e un po’ quadro sociale di un’epoca macchiata da razzismo, maschilismo, violenza domestica, famiglie allo sbando, Svidd neger ha una durata abbastanza limitata (neppure un’ora e mezza) e un ritmo in crescendo che si fa travolgente nell’ultimo quarto d’ora. Qualche trovata demenziale qua e là (in particolare l’orchestra che suona dal vivo la musica extradiegetica potrebbe essere un omaggio a un’analoga, celebre trovata di Woody Allen) puntella una storia nella quale la logica non è la componente principale; fra gli interpreti il più celebre è Bjorn Granath, confinato però in un cameo. Nei ruoli principali troviamo invece, in ordine dal più convincente, Kingsford Siayor, Thor-Inge Gullvag, Kiersti Lid Gullvag, Guri Johnson, Frank Jorstad. Elvestad si occupa anche delle scenografie; il successivo lavoro di Smith Meyer arriverà un lustro più tardi: Iskaldt (2008). 5,5/10.
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