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Libere

Regia di Rossella Schillaci vedi scheda film

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La recensione su Libere

di mck
9 stelle

La vita motivata (fucili, pane e rose).

 

 

Si spalancano scorrendo sui loro binari le alte scaffalature in metallo degli archivi fono-fotografici e cine-giornalistici dell’A.N.C.R. di Torino - voluto e creato, fra gli altri, da Ferruccio Parri (1890-1981) e Paolo Gobetti (1925-1995, figlio di Pietro e di Ada Prospero) - rivelando sequele ben catalogate di registratori a nastro con relative bobine, negativi su pellicola e su lastra di celluloide, rulli di riprese mute, alcune dotate di sonoro a parte, pagine di quotidiani impresse su microfilm, volantini, appunti autografi, rotocalchi tenuti insieme da un filo di spago e dischi in vinile della CantaCronache (più una piccola percentuale di collante/amalgamante dell’Istituto Luce). 

 


Dopo la Liberazione: ecco la Restaurazione (in senso tecnico-artistico, positivo, e in senso storico-politico, negativo).

L’approccio iniziale di “Libere”, l’opera militante di Rossella Schillaci scritta dalla regista assieme a Paola Olivetti (direttrice dell’ANCR e co-autrice del documentario “Autobiografia di una Guerra Civile” - quella spagnola -, nel quale compare anche Joris Ivens), ricorda molto quello messo in atto dal cinema (dispositivi, metodologie, sguardo) di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti (i Promessi Sposi, Grandi Speranze, il Castello, Materia Oscura, l’Infinita Fabbrica del Duomo, Spira Mirabilis, Blu, Guerra e Pace), andando quindi a porsi a mezza via fra lo sperimentalismo poetico puro di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi e la prepotente didatticità illuminista di Frederick Wiseman. Poi viene portato ad assumere sembianze e fattezze più classiche, termine inteso qui nella sua accezione migliore. La didattica si stempera e sublima nella passione, la didascalicità collassa e deflagra nell’ardore.

 


Oh ragazza dalle guance di pesca, oh ragazza dalle guance d’aurora…

Consulenza storica: Maria Chiara Acciarini.
Fotografia: Stefania Bona e Davide Marcone. Montaggio e Sound Design: Fulvio Montano. Effetti Speciali Visivi & Colorizzazione: Stefano P. Testa.
Le musiche originali - chitarre elettriche “younghiane” - sono di Giorgio Canali, qui - come sempre, del resto - al suo meglio.
In più, la “Oltre il Ponte” di Italo Calvino (testo) e Sergio Liberovici (musica), qui nell’interpretazione filologica fin de siècle di Milva al Regio di Torino.
Producono l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, il comune di Torino, la Piemonte Film Commission e Azul. Distribuisce LAB80.

[Qui di séguito la versione dei Modena City Ramblers & Moni Ovadia da “Appunti Partigiani” del 2005.]

 

[Questa invece, sempre dallo stesso album, è “l’Unica Superstite”, nella versione dei MCR & Fiamma (Silvia Orlandi).]

 

Le protagoniste, che abbiamo conosciute da anziane durante il film unicamente attraverso le loro voci (che ci parlano tanto da interviste pre-esistenti quanto da realizzate appositamente), tornano sul finale le ragazze color dell’aurora che han preso la strada dei monti…

- Maria Airaudo (1924; partigiana e operaia)
- Giuliana Gadola Beltrami (1915-2005; partigiana e scrittrice)
- Alda Frascarolo Bianco (1919-1991; staffetta e casalinga)
- Anna Cherchi (1924-2006; staffetta e contadina)
- Lia Corinaldi (1904-1989; insegnante e sindacalista)
- Carla Dappiano (1929; partigiana, operaia e sindacalista)
- Ada Prospero Marchesini Gobetti (1902-1968; commissario politico e vicesindaco di Torino)
- Joyce Lussu (1912-1998; partigiana, scrittrice e traduttrice)
- Carmen Nanotti (1924-2016; staffetta e operaia)
- Marisa Rodano (1921; deputata e senatrice)
- Marisa Sacco (1921-2016; partigiana e archivista)
- Bianca Guidetti Serra (1919-2014; staffetta e avvocato)
- Lucia Boetto Testori (1920-2015; staffetta e casalinga)

 


Bisognerebbe non avere bambini, ecco. Questo, ogni tanto, ce lo dicevamo. Allora, devo dire, io mi sarei buttata a corpo morto. Mi piaceva quest’avventura. Diciamolo pure: era una grossa avventura. […] E poi la vita motivata: sapere che si sta facendo qualche cosa, qualche cosa d’importante per cui vale la pena di rischiare la pelle. Di questo avevamo una sensazione assoluta, che però è una sensazione bellissima, che dà un senso di felicità profonda, ecco, profonda, che non ho mai più provato dopo e che non avevo certo mai provato prima.

Si faceva o non si faceva all’amore? Ecco… Si faceva all’amore, molto! Eh! Ed è questo il discorso: tutti ne parlano come se fossero tutti degli asessuati i combattenti, e le combattenti, e questo lo dico soprattutto per il movimento femminista venuto dopo, che diceva, facendo un salto di vent’anni, che avevano scoperto tutto loro, no? E invece dimenticavano che forse qualche altra esperienza la si era fatta perché... c’era anche un discorso di occasione.

Quando ho preso la mia decisione, l’ho presa da sola, senza lo stimolo o l’aiuto di nessuno. Ho fatto quello che ho fatto come staffetta, sono andata a finire in montagna con i partigiani… Credevo di sapere tutto, di avere imparato tutto. Ma devo dire che quando sono arrivato in campo di sterminio... ho capito che non avevo imparato proprio niente, dovevo incominciare da zero se volevo cercare di salvarmi la vita.

Il primo numero de La Difesa - e non a caso la “difesa” - della Lavoratrice era molto legato a questi problemi che riguardavano le donne, e il primo numero del nostro giornalino era composto da due colonne: da una parte c’era “Come aiutiamo, come collaboriamo alla Guerra di Liberazione” e l’altro era “Parità di Retribuzione, Parità di Salario”.

Le industrie in quel momento preferivano assumere gli ex-fascisti che non gli ex-partigiani. Questo lo vorrei dire. Perché gli ex-fascisti davano più garanzie: gli ex-partigiani avevano quella nomea di rivoluzionari per cui nessuno li voleva. Neanche il nostro padrone di casa ci voleva quando siamo venuti a Torino [dalle valli di Lanzo, dalla val di Susa o dalla val Pellice, mica dalla Calabria Saudita; NdA]. “Voi domani sloggiate!” La discriminante era quella: che eravamo stati partigiani.

E invece ci siam ritrovati nel ‘45 di fronte, più che a una Liberazione, a una Restaurazione. […] E poi la legge Scelba del ‘51 che vieta ai partigiani di entrare nelle forze dell’ordine...

Perché noi credevamo, allora, che con la fine della guerra il fascismo sarebbe scomparso. Si pensava che ne avrebbero fatti fuori un bel po’, e gli altri in prigione, vita natural durante o quasi (♥), e invece il fascismo è rinato sùbito (♠). E oggi come oggi, mi dico “Non so, dovessi tornare indietro, forse, chiederei proprio in partenza di andare a fare il Partigiano Combattente.”

Poi c’è stato il problema del voto alle donne, e alcuni - e io ero d’accordo con loro - dicevano: “Per sei anni, almeno, non dobbiamo dare il voto alle donne: voteranno tutte Democrazia Cristiana.”

 

 

(♥)

Gennaio. Roma.
Solo qualche giorno prima che il 1946 diventi il 1947, cinque uomini si riuniscono in viale Regina Elena a Roma. Un giornalista, un archeologo, un ragioniere, un sindacalista e un uomo che sostiene di essere il figlio illegittimo di Benito Mussolini. Insieme fondano il Movimento Sociale Italiano, basato sulle stesse idee e sugli stessi ideali del partito fascista di Mussolini. In breve tempo l'MSI raccoglie un gran numero di adesioni e cospicui contributi in denaro sotto forma di donazioni private. Già dopo un mese o due vengono aperte sedi locali in tutta Italia e il movimento può dare inizio alla sua opera di attacco alla democrazia e opposizione al comunismo. E non solo in Italia. L'obiettivo è anche quello di una nuova Europa.
Falangisti in Spagna, peronisti in Argentina, fascisti britannici guidati da Oswald Mosley, neonazisti che si radunano illegalmente a Wiesbaden sotto la guida di Karl-Heinz Priester. E poi, in Svezia, Per Engdahl. Sotto la superficie ci sono loro, e mentre il mondo guarda da un'altra parte loro si muovono. […] Presto questi uomini si avvicineranno gli uni agli altri, fino a coalizzarsi. L'immobilità accumulata da un pendolo che si prepara a un contraccolpo.

 

Da “1947” di Elisabeth Åsbrink (2016); ediz. ital. IperBorea (2018), traduz. di A.Borini. 

 

 

(♠)

«Fischiava il vento nella canna del fucile, rossa primavera alla fine di Aprile. Poi venne Maggio, l'ordine di disarmarci. Caro Valerio, non dovevamo fermarci. Non dovevamo fermarci, si doveva continuare: si fa con lo schioppo l'unità nazionale! Mandando ogni uomo vestito di nero - prete, fascista o sbirro del re - al cimitero. E invece sono ancora tutti là, con i sorrisi smaglianti, sono là i figli e i nipoti, vincenti e arroganti. Un proiettile a testa, caro il mio colonnello, e non smettere di giocare proprio sul più bello. E a chi voleva la libertà cosa gli diciamo? Ai compagni morti per niente cosa raccontiamo? Che un pelato appeso a testa in giù poteva bastarci. Caro Valerio, non dovevamo fermarci. Ma porco dio, madonna ladra, non dovevamo fermarci!»

 

Giorgio Canali - "Lettera del compagno Lazlo al colonnello Valerio" - 25 Aprile 2010 [NON inclusa in "Materiali Resistenti": in effetti ha "un giro d'armonica discutibile"...].

 


La Resistenza come tempo e luogo di (ri)nascita ed evoluzione del Femminismo.
Fantastico, fenomenale, impagabile, impareggiabile pezzo della Settimana Incom incentrato sull’insegnare alle donne dotate di patente come si fa a salire in macchina, e per farlo ne filma tre che s’accomodano sul sedile del guidatore (non si capisce perché dal lato passeggero la cosa non avrebbe senso) a gambe aperte mostrando le mutande e infine una quarta, taaac, col trucco della gambetta ripiegata.

 


Le mani che sollevano la carta velina dai negativi e dalle stampe e che srotolano le bobine di nastro fonico magnetico e di pellicola di nitrato e triacetato di cellulosa e sali d’argento e che le agganciano ai rulli folli di scorrimento e a quelli dentati di trascinamento sono di Valentina Rossetto, l’archivista.

 

 

La vita motivata (fucili, pane e rose).
Buon 25 Aprile, anche in inverno, sempre.

* * * * ¼ (½) - 8.625      

 

A latere: Ferruccio Parri - "Come Farla Finita con il Fascismo" [innanzitutto farne fuori un bel po', di fascisti] - Laterza - 2019.

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