Regia di Alejandro Landes vedi scheda film
All’interno di un sistema asfittico che tende a ripetersi, il come è ormai diventato un fattore decisamente subordinato/soffocato dal cosa. Di conseguenza, una volta stabilito l’ambito dell’azione, gran parte della pratica di base è data per espletata e la porzione restante non fa altro che riprendere/applicare canoni riconosciuti, evitando di avventurarsi in particolari scostamenti.
Le eccezioni sono merce rara, una categoria nella quale rientra senza alcuna ombra di dubbio Monos (il sottotitolo italiano è terrificante, da ufficio inchieste), un film fulminante e contundente che si distingue dalla massa, sfuggendo alla consueta catalogazione, con scelte nette, dirimenti ed evidenti, per certi versi anche discutibili, comunque sia alimentate/perseguite con inamovibile coerenza, per giunta scortate e amplificate da specifiche tecniche che non ti aspetteresti mai di rintracciare in un piccolo film colombiano.
Sette adolescenti stazionano sui monti della Colombia, impegnati in una delicata missione che non ammette errori. Guidati da lontano da un’organizzazione misteriosa, custodiscono una prigioniera, una dottoressa americana (Julianne Nicholson – I segreti di Osage County, Tonya) ricercata dal governo.
Tra assalti respinti senza indietreggiare di un millimetro, tentativi di fuga e uno spostamento nella giungla profonda, questo drappello di giovani non rinuncia a provare le emozioni tipiche di chi ha la loro età, per quanto la loro inesperienza crei disguidi e dissapori.
Questa situazione non è destinata a durare a lungo, procurando danni ulteriori e irreversibili.
Scritto e diretto con il pugno di ferro da Alejandro Landes, Monos è un’opera sorprendente e controversa, caratterizzata da uno sguardo dotato di una spiccata personalità, che cattura/associa/draga due condizioni proposte dal cinema con una certa costanza, come il rapimento e l’innocenza violata (La paranza dei bambini), per poi calpestare un sentiero impervio senza denotare alcun tipo di indugio.
Dunque, tagliando fuori quasi del tutto il mondo esterno (per inciso, non viene nemmeno specificato che si tratti della Colombia) e muovendosi in paesaggi naturali dall’enorme impatto sensoriale (le montagne del parco nazionale di Chingaza e la giungla nei pressi del fiume Norte), racconta di condanne a morte e di una spasmodica voglia di vivere, di pedine sacrificabili che non hanno avuto possibilità di scelta e che anelano un futuro diverso, tra chi dispone di tutti gli strumenti necessari per rendersi conto di quanto sta succedendo (la dottoressa interpretata con un incredibile e vigoroso tasso di coinvolgimento da Julianne Nicholson) e chi è ancora in una – bloccata, parziale e deformata - fase di formazione sottratta/negata, che prova sentimenti profondi, quasi sempre frustrati sul nascere.
Alejandro Landes decide con coraggio di non soffermarsi mai più di tanto su ogni singola questione, crea, distrugge e riparte con radicale facilità, sottolineando in questo modo la transitorietà degli eventi, la violenza preesistente, le ferite inferte a chi non ha colpe, i crateri venutisi a formare tra la bellezza del territorio e la minaccia insistente scatenata dagli uomini, con una lotta continua e contrassegnata da esplosioni di violenza e organi vitali che non cessano di sussultare, per equilibri temporanei e fragili.
Un’umanità messa – ingiustamente - a dura prova e appesa a un filo, alle prese con moti tellurici che generano un vero e proprio campo minato, per una progressione dai ranghi serrati che impone scossoni incessanti ed emessi a bruciapelo, implementando i contrasti e in egual modo un battito cardiaco a dir poco febbricitante, affidandosi peraltro a valori tecnici di primo piano, di una qualità tale da giustificare – ovviamente in parte e senza voler fare i fenomeni per partito preso – i riferimenti illustri che sono stati richiamati da più voci (tra i più citati, Apocalypse now). Nella fattispecie, l’impianto sonoro settato da Micah Levi (La zona d’interesse, Jackie) contribuisce a stabilire una percezione straniante (il film fa di tutto per non finire incatenato in una striminzita casella), mentre la fotografia di Jasper Wolf (Instinct, Babygirl) valorizza l’ambientazione e la contingenza meteorologica, entrambe meravigliose nella loro veste naturale quanto tremendamente avverse.
In conclusione, Monos è una gemma nascosta nei cataloghi italiani (disponibile in dvd e su diverse piattaforme streaming), che meriterebbe una riscoperta, un lavoro efficace e disturbante che si getta a capofitto sulla preda e che non molla mai la presa, dalla straordinaria magnitudo, con epicentri palpitanti, squarci crudeli e irruenti che tolgono il respiro e finiture artistiche che propongono colpi d’occhio mozzafiato, per un alfabeto emotivo struggente e interfacciato a un perenne stato di allarme, con una potenza di fuoco che irrompe ripetutamente sulla scena sgretolando/disgregando ogni auspicabile e concupita speranza/certezza.
Sferzante e ipnotico, denso e angosciante.
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