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Il pugile del Duce

Regia di Tony Saccucci vedi scheda film

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La recensione su Il pugile del Duce

di maghella
6 stelle

Se si dice “l'italiano nero”, viene in mente tutto tranne Leone Iacovacci. Anzi, in realtà per molti, nemmeno questo nome e cognome dice molto, a meno che non si sia dei veri appassionati di pugilato o di cronache sportive relative al ventennio fascista. Leone Iacovacci è stato nel 1928 campione europeo italiano dei pesi medi di pugilato, sconfiggendo il campione uscente Mario Bosisio. Purtroppo di questa importante vittoria il regime fascista ha cancellato ogni traccia, la motivazione sta nel colore della pelle di Iacovacci: nera. Leone Iacovacci (in arte Jack Walker) era di padre italiano e di madre congolese, dopo una adolescenza irrequieta in cui fugge dall'Italia e cambia nome per cercare fortuna prima in Inghilterra, poi in Francia, trova infine la sua strada casualmente nel pugilato. Quando nel 1924, dopo innumerevoli successi, cerca di ottenere nuovamente la cittadinanza italiana, il regime fascista cerca in tutti i modi di ostacolarne il successo. Leone Iacovacci, nonostante la sua pelle diversa, nonostante la mentalità fascista razzista, entra nel cuore della gente. L'incontro per il titolo mondiale tra i due italiani, il bianco e il nero, diventa così per forza di cose un successo mediatico. L'incontro viene organizzato il 24 giugno del 1928, all'interno dello stadio Flaminio di Roma (il cuore dell'Italia sportiva fascista di allora), alla presenza di gerarchi, esponenti di governo e di migliaia di spettatori. Leone Iacovacci vince il titolo di campione europeo, ma nessun giornale e cinegiornale dell'epoca riportò mai questa vittoria accanto al suo nome. Il pugile italiano (ma nero) dovette tornare in Francia per poter vivere una vita serena, concludendo la sua carriera in maniera repentina e senza gli onori meritati. Questa storia quasi irreale viene raccontata da Tony Saccucci, che con bellissimi reperti di cinegiornali dell'Istituto Luce, ci descrive un'Italia nemmeno così lontana ma sicuramente sconosciuta. Sconosciuta grazie ad una propaganda di regime che ha cancellato con un colpo di spugna le gesta di un grande campione amato dal pubblico nonostante non rispettasse i canoni dettati dal fascismo. Per questo immediatamente dopo la vittoria e la partenza dall'Italia di Iacovacci, il regime fascista si procurò un nuovo idolo da amare, senza nessun intoppo di colore di pelle, origini, razza e convinzioni politiche: Primo Carnera, un gigante al servizio del fascio. Le storie di pugilato, si sa, sono appassionanti di per sé, ci vuole poco per amarle ed emozionarsi. Spesso il cinema è stato il mezzo privilegiato per raccontare le storie vere di boxer famosi, a questo documentario manca l'iniziativa di rendere speciali le bellissime immagini di repertorio. Non c'è molto sforzo di regia, a parte un'ottima ricerca di materiale, per rendere la storia di Leone Iacovacci finalmente immortale -come forse avrebbe meritato a distanza di quasi 100 anni-. Il documentario diventa così una fredda stesura delle vicende del pugile nero, senza però cercare di alzare l'asticella dell'emotività. Quando si cerca di farlo sul finale, il risultato appare senza troppa convinzione. Ho trovato invece veramente belle alcune immagini di repertorio relative agli allenamenti di Bosisio e Iacovacci, che dimostrano quanto certe scelte propagandistiche cinematografiche di allora si avvalessero già di una ottima conoscenza nell'utilizzare la macchina da presa in maniera moderna. Alcune immagini hanno inquadrature che sembrano girate da un I-Phone di oggi. La vicenda di Leone Iacovacci merita quindi ogni tipo di attenzione, una luce di riflettore accesa che per troppi anni è mancata sul podio dei ricordi sportivi italiani. Per colpa del regime fascista a oggi mancano le ultime riprese dell'incontro e della vittoria di Iacovacci, non esiste alcuna foto che ritrae Iacovacci con il braccio alzato in segno di vittoria, non c'è un solo titolo di giornale che ricorda il nome di Leone Iacovacci come vincitore italiano del titolo. Una visione che consiglio agli appassionati di questo sport (come me), ma anche a quelli che oggi sottovalutano un periodo storico (e che anzi cercano di rivalutarlo), quello nefasto del fascismo.

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