Regia di David Bruckner vedi scheda film
Horror suggestivo nelle atmosfere e sufficientemente ansiogeno. Non ci sono grandi elementi di novità, ma è girato bene e prende
Quattro amici di vecchia data, Luke (Rafe Spall), Phil (Arsher Ali), Hutch (Sam Troughton James) e Dom (Sam Troughton), dopo la tragica scomparsa del quinto membro del loro gruppo Robert, ucciso in una rapina in un drugstore, mentre l’amico Luke annichilito dal terrore, si era codardamente nascosto dietro a uno scaffale, decidono dopo circa sei mesi di recarsi per una vacanza di tipo escursionista, per le montagne scandinave e cosi onorare la memoria di Robert che ci teneva tanto a quel viaggio. Le loro giornate trascorrono nel meraviglioso sfondo della natura locale, fra una lunga camminata e l’altra, praticano questo piacevole trekking attraverso le distese smisurate e mozzafiato, finché Hutch, il più goffo della spedizione, cade e si storce un ginocchio; i suoi compagni decidono, malauguratamente, di prendere una scorciatoia, tagliando per i boschi, poi però facendosi notte sono costretti a riparare in una casa in legno abbandonata da tempo. All’interno vedono strani simboli e segni, probabilmente collegati ad un misterioso culto pagano, poi si imbattono in un fantoccio di vimini, dall’aspetto poco rassicurante, posto al piano di sopra della capanna. Durante la notte il loro sonno è tormentato da incubi mentre all’esterno si sentono scricchiolii sinistri, rami che si spezzano all’improvviso, e s’intravedono figure che si celano nel fitto della vegetazione, si odono versi inumani e ci sono perfino tracce di rune intagliate sui tronchi. È chiaro che dentro la fitta foresta ci sono insidie oscure che li aspettano, Da quel momento in poi il viaggio prende una brutta piega, che trasforma quelle radure sconfinate in uno scenario da brivido, tra rituali sanguinari, sacrifici e fughe.Il bosco è un paradigma horror di antica tradizione, un luogo dove le leggende collocano fauni e driadi, creature incantate come le fate, oppure perfide come le streghe, che popolano dalla notte dei tempi, l’immaginario collettivo, dalle culture mediterranee a quelle nordiche, fino agli orientali. Le foreste celano spiriti d’ogni tipo, avvicinando a livello trasversale ogni cultura. A tali tematiche fanno riferimento anche la letteratura, i fratelli Grimm per esempio nonché ovviamente il cinema The Ritual di David Bruckner si mette sulla scia, e riporta alla mente per analogia The Blair Witch Project. Ispirato all'omonimo romanzo horror dello scrittore inglese Adam Nevilll di cui però in Italia non vi è traccia, il film è sceneggiato da Joe Barton. Nella prima parte, la migliore, il regista non mostra mai quella “cosa” che sta inseguendo e spaventando i quattro amici, che peraltro potrebbe anche essere il frutto della loro immaginazione o un’allucinazione collettiva.
Bruckner gioca sapientemente la carta del “vedo-non vedo” con gli spettatori, Questo effetto “come tutti gli appassionati di horror sanno, è efficacissimo soprattutto perché supportato da un comparto tecnico di altissimo livello, la fotografia e soprattutto la colonna sonora di Ben Lovett amplificano il senso di paura e la disperazione dei nostri sciagurati esploratori
Suggestivo anche il cambiamento di ambientazione che si verifica quasi subito. Si passa dalle lande estese e dai grandi spazi aperti, al bosco più fitto, alle claustrofobiche distese boschive di conifere verdi e gialle che tolgono luce e fanno mancare il respiro. Le scene in realtà non sono state girate in Svezia, ma in Transilvania a 2100 metri di altitudine. Attraverso l’utilizzo sapiente di numerosi campi lunghi, che danno un senso di smarrimento, il regista ci accompagna in questa foresta gremita di simboli esoterici, come le rune e la scultura di vimini che sembra raffigurare un’entità demoniaca
Poi, per quanto riguarda l’elaborazione del lutto, il senso di colpa e il bisogno di esorcizzarlo, andando alla ventura con gli amici di una vita, questo intrigante aspetto emotivo, ci ricorda il film The Descent
Purtroppo, nello sviluppo successivo The Ritual si assesta su binari più canonici e prevedibili, Rifacendosi al folklore scandinavo , viene introdotta una sorta di entità mitologica, denominata “Jotunn “ossia un “mangiatore di uomini” figlio bastardo di Loki, membro della razza dei giganti secondo la leggenda norrena, figura, mostruosa e gigantesca, che abita nella foresta e pretende, frequenti tributi di sangue e che tiene soggiogata la popolazione locale ed è questo mostro che insegue i protagonisti; con la complicità della gente del posto intenta a venerarla e ad assecondarla
Per tutta la storia, il protagonista Luke subisce un profondo senso di colpa che arriva al culmine dapprima con l’incontro e poi con la fuga dal mostro infuriato e assetato di sangue e, successivamente, nella scena finale, con l’urlo di dolore e al tempo stesso di vittoria di Luke che guarda la creatura dritta negli occhi, ormai immobile, che non riesce ad uscire dal suo habitat, il significato che assume questo finale, è sottile e racchiude un messaggio più profondo, un faccia a faccia con il proprio demone, probabilmente, l’urlo suggella il superamento del senso di impotenza e la volontà di andare avanti anche dopo una colpa, che ci tormenta per non averci consentito di agire nel momento del bisogno. Quando l’essere umano si trova di fronte ad una situazione pericolosa o un evento più grande di lui, l’istinto di sopravvivenza è l’unica forza che lo mantiene a galla. Il grido liberatorio finale di Luke, comunica con intensità animale, che occorre sapere accettare, convivere e superare emozioni negative, per poter proseguire il percorso della vita. Non male
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta