Regia di David Bruckner vedi scheda film
I primi accostamenti che vengono in mente sono con quel gioiellino finlandese di Sauna, per la crudezza e la disinvoltura con cui viene trattato quel concetto tanto umano quanto devastante che va sotto il nome di senso di colpa, e Black Death, per l'aspetto esoterico, sanguinario e trascendentale che si rivela nella seconda metà del film.
I guerrieri onorevoli del folklore nordico non esistono senza gli spargimenti di sangue che bramano le loro draconiche divinità. Una non-vita eterna in un luogo plasmato dai martelli tonanti dei possenti dei norreni entra in contatto con la moderna civiltà britannica.
Il baratro del senso di colpa. Loro sono trentenni ex compagni di università, sposati, i primi figli sono già arrivati e sono giù a causa delle sempre minori possibilità di vedersi, organizzare una birra in un pub comincia a diventare una specie di Tetris. Discutono sull'organizzazione di un viaggetto.
Due di loro entrano in un minimarket non accorgendosi della rapina in atto e succede il fattaccio, uno di loro, nascosto, afferra una bottiglia pronto a spaccarla sulla testa del tipo in passamontagna che sta minacciando il suo amico con un machete, ma non ce la fa, resta nascosto, l'amico da tutto ai rapinatori ma non vuole cedere la fede nuziale. Fendente di machete, uno e poi un altro, letale.
6 mesi dopo. Svezia. Lui voleva andare lì a fare trekking e i trentenni inglesi ammuchiano pietre per fare un memoriale all'amico scomparso.
Poi piano inclinato, uno di loro particolarmente petulante si fa male ad un ginocchio e così il gruppo è costretto a tagliare per la foresta per accorciare la strada, non l'avessero mai fatto.
C'è un alto elemento psicologico nella costruzione della tensione, si gioca sulle allucinazioni, sul vedo-non vedo, sulle sensazioni, la distorsione della realtà provocata sia dalla "survivor guilt" del superstite della rapina, ai cui occhi la foresta buia assume i connotati dei corridoi illuminati del minimarket, che dall'atmosfera maledetta e trascendentale in cui il gruppo si è ritrovato immerso.
Il dio, la progenie abominevole del mito chiede sangue e in cambio dona l'immortalità ai suoi seguaci, seguaci che però possono essere feriti, dissanguati e uccisi, che vivono in eterno incatenati ad una realtà che preclude ogni sorta di evoluzione, venerano ruderi mummificati di un tempo che non c'è più.
The Ritual non porta assolutamente di nuovo nel panorama Horror e procede su un sentiero già ampiamente battuto come quello della stregoneria e dell'esoterismo a base di sacrifici di sangue, risulta forse essere troppo didascalico nel suo urlarci in faccia il ruolo del senso di colpa nella narrazione ma niente jumpscares, tensione e un furbo gioco di vedo/non vedo lo fanno scorrere meno macchinoso di altri originali Netflix prodotti fino ad ora, la strada è quella giusta.
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