Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Tra thriller e horror, non convince pienamente questo lavoro di Polanski
Delphine de Vigan,è una celebre scrittrice francese di mezza età, caduta in una profonda depressione a causa del suo ultimo,controverso best-seller mondiale, già provata dallo sforzo che ha compiuto,per realizzare il romanzo, si trova ben presto anche stalkerata da alcune lettere anonime, in cui viene accusata di aver messo in piazza i segreti della sua famiglia Da tempo, inoltre, Delphine soffre del “blocco dello scrittore” una crisi creativa che le impedisce di trovare l’ispirazione per scrivere. Il disagio della protagonista è percepibile in tutta la sua drammaticità , nell’introduzione del film, in cui la si vede autografare distrattamente le copie del romanzo ai suoi fan ,in una libreria di Parigi,dove appare visibilmente seccata e turbata.In mezzo a loro, però c’è una presenza gradevole, una giovane ed elegante donna, Leila, una sua ammiratrice, molto determinata e intrigante, che di lavoro fa, appunto, la ghostwriter, dal cui magnetismo Delphine rimane come ipnotizzata. Le due cominciano a frequentarsi, diventando ben presto quasi inseparabili. Leila si trasferisce a casa sua e Delphine le si affeziona, si fida e si abbandona, ma a mano a mano,che i rapporti si stringono, la loro amicizia prende una piega sempre più pericolosa e inquietante. Leila diviene una presenza sfiancante e ingombrante, anche se utile. Delphine la giudica una grande fonte di ispirazione, però la sua “musa” a sua volta è sempre più ossessiva e invadente, oltre che esigente. Quando Delphine si rompe una gamba, finisce col diventare quasi una prigioniera alla mercè dei capricci di Leila, che la maltratta al punto da costringerla a scappare via sotto una tormenta d’acqua. Polanski affronta qui temi non del tutto originali , le inquietudini di un artista, le “impasse” del processo creativo, le conseguenze pericolose del successo ,però lo fa in maniera scolastica, come esercizio di stile, senza compiere slanci emotivi sorprendenti. Prova a costruire un thriller psicologico, con sussurri, suggestioni e sospetti ,creando quell’atmosfera sottilmente perversa, in bilico fra realtà e incubo che ha sempre caratterizzato i suoi lavori, sin dagli esordi, tuttavia l’impresa stavolta non gli riesce completamente, forse è un film leggermente incompiuto, con moltissimi “debiti” cinematografici, a cominciare da “l’uomo ombra” poi “luna di Fiele” e “Misery non deve morire” in più come sempre ci sono anche le tracce mai rimosse o elaborate, di un tormentato vissuto autobiografico. Giova rammentare, anche se forse è pleonastico, che il cinema del regista polacco è sempre di “autore” connotato da una grandissima qualità, sia tecnica che letteraria.Il geniale regista è un virtuosista della macchina da presa, nonché un raffinato intellettuale , che scava nei meandri della psiche umana,soprattutto di quella malata, patologica, producendosi sempre in un gran lavoro di analisi introspettiva, tuttavia questo film non si può ascrivere all’elenco dei suoi migliori lavori.
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