Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Roman Polanski è indubbiamente uno degli ultimi grandi autori viventi ed in piena attività. Appartiene ad una generazione che in gran parte è in via d'estinzione, basti pensare che il suo primo lungometraggio risale al 1962. Nella sua vita ha attraversato fasi che oggi appaiono ormai materia buona per i libri di storia, dalla Seconda Guerra Mondiale alla persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti, dalla Polonia comunista all'esilio in Francia, dal successo a Hollywood alla brusca fine della summer of love, decretata proprio dall'omicidio della moglie Sharon Tate. Classe, 1933, il regista è passato attraverso una vicenda giudiziaria causata da uno scandalo sessuale (che continua a tenerlo forzosamente lontano dagli USA), ed è, per qualche verso, simile a Woody Allen, con il quale condivide anche un'urgenza produttiva che accompagna i due autori nella loro terza età.
L'ultimo film di Polanski che avevo visto era il più che convincente Carnage (2011), dove funzionava tutto a meraviglia, a cominciare dalla costruzione dei personaggi. Ecco, questa è la maggiore differenza tra l'opera del 2011 e questo nuovo film, intitolato D'après une histoire vraie, che in italiano è diventato un arbitrario - ma non è una novità - Quello che non so di lei. Per dirne qualcuna, risulta abbastanza assurdo che la protagonista, una scrittrice di successo dei nostri anni, non conosca il funzionamento di Facebook e della rete in generale, mentre la persona che la perseguita le scrive lettere anonime utilizzando una macchina da scrivere. La protagonista, peraltro, sembra vivere in un vuoto pneumatico, dove non ha praticamente amici né famiglia, se si esclude uno pseudo compagno, sempre lontano per ragioni di lavoro.
In questo vuoto fisico e affettivo è fin troppo semplice, per Polanski e il co-sceneggiatore Oliver Assayas, inserire un personaggio ambiguo come quello della fan disturbata (interpretata da Eva Green), con la quale si consuma un reciproco rapporto vampiresco che subisce continue osmosi tra il piano letterario e quello della vita personale. Troppo poco, se si vuole fare un discorso serio e spettacolare sul rapporto altrettanto vampiresco tra arte e vita, soprattutto se gli spettatori di Quello che non so di lei conoscono un po' di cinema di Hitchcock oppure hanno visto Il servo di Losey o le opere precedenti dello stesso Polanski, come, per dirne una sola, L'inquilino del terzo piano (1976).
Disseminato di qualche falsa pista di troppo (mi resta incomprensibile la sequenza del veleno per topi piazzato in cantina), il film trova un inatteso punto di forza nell'interpretazione di Emmanuelle Seigner, che è brava a simulare una perenne depressione e sembra recitare con sul volto una quasi insopprimibile necessità di dormire.
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