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Quello che non so di lei

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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La recensione su Quello che non so di lei

di alan smithee
7 stelle

L'ossessione di ravvivare una foga creativa e narrativa che l'ha portata al successo e che ora pare languire, spinge una celebre scrittrice a confrontarsi con un mondo parallelo ed eventuale che la rapisce, quasi paralizzandola. Polanski dirige alla grande un mondo di ossessioni circoscritte entro due figure antitetiche che si respingono attraendosi

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Una ancora avvenente scrittrice di successo (Emmanuelle Seigner), che da un paio di anni vive di luce riflessa grazie ai lusinghieri risultati commerciali del suo ultimo best seller, il primo di natura narrativa, seppur a base largamente autobiografica, gestisce sempre più a fatica il fardello impegnativo di una popolarità che la coglie impreparata, la vede sempre al centro di dibattiti, presentazioni, faticosi interminabili incontri con i lettori.

Visibilmente stanca di questo stato di assedio che finisce per opprimerla, e anche un po’ preoccupata da una serie di lettere anonime che la accusano di aver svenduto parte della sua vita privata, o comunque averci speculato sopra senza remore, la donna cerca ogni sotterfugio per sottrarsi alla massa entusiasta che la affligge, concentrata a trovare un adeguato percorso narrativo di finzione su cui dirottare il suo prossimo impegno letterario. 

L’incontro fortuito con la scaltra ed avvenente Elle (una Eva Green dallo sguardo più magnetico del solito), più giovane della nostra protagonista, ma dal modo di fare avvolgente e intrigante, cattura l’attenzione di una altrimenti diffidente Delphine (questo il nome della scrittrice), fino al punto che le due diventano amiche intime, raccontandosi ognuna le proprie difficoltà personali ed intime, ed instaurando un legame che le porta addirittura a convivere nello stesso lussuoso appartamento dell’autrice, complice anche un’attrazione tra le due che diviene sempre più evidente e corrisposta.

Saranno a questo punto le vicissitudini “reali” a condizionare il mondo dell’immaginario (o magari forse proprio il contrario?), che da tempo ha costretto la nostra autrice verso una zona neutra e arida che non le permette più di creare alcunché.

Giocato tutto sull’ambiguità dei ruoli, sul dubbio che si tratti di un incubo torbido e subito ad occhi aperti, e su un sadico gioco al gatto e al topo ove i ruoli delle due donne paiono alternarsi a seconda della situazione o del punto di vista, fino ad identificarsi, “Da una storia vera” denuncia sin dal titolo come la fantasia abbia bisogno di fatti reali anche costruiti forzosamente, per potersi esprimere e manifestarsi per dar vita ad un racconto, ad una storia compiuta.

Il prezzo da pagare spesso è alto o frutto di pesanti compromessi.

Tratto, pare piuttosto fedelmente, da un romanzo di Delphine De Vigan, l’ultimo film di Roman Polanski, presentato Fuori Concorso come Evento Speciale a Vannes ’70, è stato adattato per lo schermo dallo stesso Polanski su segnalazione della sua compagna Emmanuelle Seigner, coadiuvato dal regista Olivier Assayas.

Come spesso capita nel cinema del gran regista polacco - si pensi all’intrigo elementare, eppur così riuscito ed intrigante che sta alla base dell’ottimo Frantic - l’adattamento non svia da una sua classicità di situazioni che si bilanciano tra una attrazione sessuale apparentemente senza controllo tra due donne solo apparentemente insicure e vulnerabili, ed un gioco sadico volto a creare quelle situazioni limite (e anche un po’ tanto déjà-vu) che mettano in moto il giusto e ravvivino il giusto guizzo emotivo per rimettere verve ad una vena creativa che pareva ormai perduta per sempre.

Nulla di imprevedibile o veramente shoccante pertanto, ma tutto costruito con un bel rigore e valorizzato da riprese che hanno reso memorabile lo stile di Polanski: è un piacere seguire e farsi condurre dall’occhio del regista, che sa meglio di chiunque altro valorizzare la suspence e l’incertezza creata a tavolino per scompaginare la vicenda e instillare dubbi e perplessità nel pubblico.

Nulla di assolutamente nuovo all’interno di un’attrazione saffica già affrontata al cinema in molte altre precedenti situazioni, e che ricorda per certi versi quella al centro dell’ultimo De Palma, in Passion, e che come in quest’ultimo riesce a farsi apprezzare più per la maestria della tecnica di girato, che per il contenuto intrinseco su cui fa leva.

Un Polanski un po’ di routine dunque, forse, ma avercene di registi in grado di costruire così bene incastri e percorsi ad incognite, magari per nulla innovativi od originali, ma che scorrono alla perfezione dinanzi ai nostri occhi di spettatori.

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