Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Un film carico di suggestione che non riesce a graffiare anche per colpa di una storia poco plausibile e trita.
CANNES 70. OUT OF COMPETITION.
Indecente. No, anzi: infelice. Macche'. Forse il titolo esatto poteva essere "Basato su una storia inesistente". Suscita numeroso sconcerto, in alcuni ilarita' e in molti delusione il nuovo lavoro di Roman Polanski, che volutamente ha fornito poco o nulla sul suo film presente a Cannes, a cominciare dalle foto fornite all'organizzazione, per rendere piu' avvincente e misteriosa una storia a tratti banale e superflua.
Delphine - una matura e sofferta Emanuelle Seigner - e' un'autrice di successo. I suoi libri sono frutto di anni di lavoro, di ricerche e, talvolta, d'isolamento. Ma restano prodotti di finzione. Alla presentazione della sua ultima fatica conosce, tra i tanti fan che le chiedono un autografo con dedica, la misteriosa Elle (Eva Green, magrissima come mai prima). La giovane sembra intrigare da subito la scrittrice, che la ritrova poco dopo ad una festa. Le due, successivamente, si danno un appuntamento: scopriamo, cosi' , che la donna misteriosa lavora soprattutto come ghost writer, nascondendosi dietro alla penna di nomi noti. Lungo un intenso cammino di avvicinamento amichevole, le due si conosceranno poco a poco: Delphine, bersaglio di molte lettere anonime, sara' attirata in una ragnatela emotiva, ricattatoria e infida : Elle e' intenta a convincerla che deve iniziare a scrivere di verita', non puo' semplicemente riferirsi a personaggi di sua invenzione ma trasportare se' stessa nel romanzo che elabora e con queste premesse cadra' preda del maleficio impostole da Elle.
Una trama semplice, un ripetersi di luoghi comuni, una sagra del gia' visto: Polanski rielabora se' stesso con una visione pasticciata e inutile di "Rosemary's Baby" mescolata ad una apparentemente omosessuale di "Venere in pelliccia" ma l'amalgama rivela piu' di una falla, a cominciare dalla direzione degli attori, che sopravvivono solo grazie alla forza espressiva di ciascuno ma con dialoghi risibili e un concitato gioco di continui ribaltamenti di ruolo oggi cinematograficamente superati. La mancanza d'idee, d'altra parte - l'incubo notturno con conseguente risveglio di Delphine rinvia a ben altri incubi - si rivela profondamente nel finale, praticamente tronco ed inaccettabile per un thriller la cui suspense e' tutta nello scioglimento terminale della pellicola. Che, pero', non arriva: lo spettatore e' persino lasciato libero d'immaginare che la sciagurata Elle - nome con cui i francesi giocano, perche' intendono 'lei' con 'elle' ed ella precisa che 'Elle" e' Elisabetta, tradotta in inglese con 'Her", poi corretto in Hermione e quindi complesso da restituire in italiano - sia semplicemente un personaggio immaginario. Piu' sottile, invece, la critica ad un sistema letterario che permette a scrittori di ergersi a divi - e non a caso il compagno di Delphine, Francois (Vincent Perez) si occupa di scrittori veri, come James Ellroy o Don De Lillo e pertanto ne promuove le storie, dimenticandosi della compagna - e tralasciare i contenuti, perche' i lettori vogliono "qualcosa dai loro scrittori e non la verita'" (Sic!) Ma il film, troppo dialogato, e' sbagliato anche nella costruzione narrativa, che impiega un tempo eterno per definire il thriller ma non giunge mai ad profondo rapporto tra le due donne: la musica di Alexandre Desplat, basata su piano forte talora suggerito altre volte esageratamente invadente e la fotografia di Pawel Edelman che lavora sui motivi dell'acqua, trovano la suggestione giusta per un giallo vecchia maniera ma la sceneggiatura (di Olivier Assayas) sbanda completamente nella seconda, piu' breve parte, quando le due si trasferiscono nel cottage della piu' famosa e la ghost writer Elle si rivela una tiranna insopportabilmente cattiva. Molti, troppi i temi attraversati: la perdita -Elisabeth ha perso, a suo dire, il marito sei anni prima e non ha ambizioni -, il successo effimero perche' costruito a partire dalla finzione, il cattivo rapporto della scrittrice con i figli, che riesce a malapena a sentire solo al telefono, l'isolamento necessario a coltivare la scrittura, il complicato menage con il proprio uomo, che pare dedicarsi ad altro e non esserci quando necessario e poi ancora la manipolazione e la sottommissione femminile si rivelano tutti suggeriti e quasi mai approfonditi. Il confronto tra due donne, una famosa, l'altra no e' il tema portante delle ultime storie di Assayas ma sembra poco adatto a cogliere certe sfumature cui Polanski ci ha abituato: la sua ottica, infatti, resta neutra rendendo poco attraente una trama ormai nota e consunta e non aiuta a sciogliere i dubbi neppure la sua vecchia, immancabile ironia, che di tanto in tanto fa capolino tra le pieghe del racconto. Basato sul libro omonimo di Delphine de Vigan, "D'apres une histoire vraie" resta, alla fine, un giocattolone incomprensibile ed un'occasione mancata per il regista di origini polacche di aggiungere un ulteriore tassello alla sua galleria personaggi indimenticabili destinati a vincere pur se sopraffatti dalle avversita'.
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