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La casa di Jack

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su La casa di Jack

di Kurtisonic
8 stelle

Uno psicopatico ingegnere combattuto tra desiderio di salvezza e conquista dell'assoluto trova un confessore. Smentirà la sua convinzione che " nel mondo nessuno è disposto ad aiutare un altro"?

Matt Dillon

La casa di Jack (2018): Matt Dillon

Dopo quasi cinque anni da Nymphomaniac, il nuovo estenuante lavoro di Lars Von Trier si pone come un solido erede di quello che fu anche definito come dramma erotico. Basterebbe valutare l'accoglienza mediatica per ridefinire dei due film il valore intrinseco e sociale, apprezzato e premiato il dittico erotico quanto sbeffeggiato e sminuito il nuovo La casa di Jack, che ha collezionato le reazioni isteriche del pubblico di Cannes e un successivo interesse ridotto dal pubblico di sala. Determinante è il tema portante nei due film, che potremmo definire "dei gemelli diversi". Identici sono il percorso di sublimazione, la ricerca di spiritualità, la sottile lettura ironica, la deriva pessimista, ma se in Nymphomaniac questi fattori si manifestavano attraverso la catarsi dell'esperienza del sesso estremo (argomento popolare che solletica ancora  fantasie e desideri esperienziali trasformando però il piacere in un vettore trainante della società consumistica che ne detta le  regole e ne codifica i comportamenti), in La casa di Jack, lo scomodo regista danese chiama in causa il fenomeno più  naturale,  quello della morte, che la modernità cerca di rimuovere o di nascondere. Una figura iconica dei nostri tempi, quella del serial killer, si carica il peso di riportare l'idea collettiva della morte allo scoperto della società, si assume l'incarico di spezzare l'angoscia individuale dell'atto di morte e lo ritualizza. Lo trasforma addirittura in opera d'arte. Il regista mette in gioco uno dei temi più  sfruttati nella storia del cinema in maniera antispettacolare, in aperta opposizione estetica ai canoni della rappresentazione filmica. La riflessione di Von Trier  chiama in causa la libertà di espressione (compresa quella di rappresentazione) e l'atto creativo mettendoli sullo stesso piano del libero arbitrio, capace di provocare l'atto finale della morte come punto più  alto della propria volontà. Il contrasto che Jack vive nell’identificazione del suo ruolo sociale, diviso tra la professione di ingegnere e il suo desiderio represso, quello di diventare un architetto, sintetizza forse anche ingenuamente il conflitto esteriore dell’uomo, soggetto presente nel tempo in cui vive e costretto alla costruzione, a discapito di un tempo senza limiti, quello dell’immortalità dell’arte e della creazione. La Casa di Jack testimonia il progressivo allontanamento del regista dal cinema convenzionale,  un percorso iniziato con  Antichrist (2009), per  farsi  discorso filosofico e teorico che può non trovare grande consenso ma che prova a ridefinire anche in modo discutibile e provocatorio  attraverso le immagini, concetti e argomenti fondamentali che regolano l'esistenza. Delirante e maniacale per alcuni, pungente e illuminante per altri, ma nello sconfortante panorama del cinema attuale Von Trier resta senz'altro una delle poche anime ancora pulsanti.

 

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