Regia di Lars von Trier vedi scheda film
"IO LARS VON TRIER" Ancora una volta il regista danese mette il suo "Dogma-pensiero" al centro di tutto... Delirante e spiazzante,un opera "monstre" e mai banale...
Io LARS VON TRIER
C'è tutta l'opera "omnia" dell'autore danese in questa pellicola delirante e protervia, ingrassata di filosofie e dogmi, superba nelle provocazioni e narcisista nelle congetture.
Von Trier ama provocare , si mette al centro del suo mondo cinematografico , ma non risulta mai banale,anzi....
L' omicidio e il male sono "arte" sembra profferire il ragazzo terribile del cinema.
Dopo l' esplorazione sessuale di "Nimphomaniac" ci trasporta nello stato di Washington negli anni 70.
Ci viene presentato l'inquietante Jack, ingegnere con velleità architettoniche, nevrotico ed ossessivo compulsivo che carica nel suo furgoncino rosso una donna in panne con l'auto.
L' estenuante Uma Thurman esaspera il nostro Jack che da quel momento in poi sceglie l'omicidio seriale come cura dei suoi mali.
Ed Gein , Jeffrey Dahmer, Ted Bundy e poi ancora Hannibal Lecter, Norman Bates ,Michael Myers per un corollario di psicopatologie conclamate.
Il volto serafico e impassibile del bravissimo Matt Dillon unisce queste "icone" del male, portandone con se i segni.Freddo e distante, il nostro Jack cerca di essere "umano", allenandosi allo specchio ed imitando "ritagli di giornale".
Ma resta pur sempre la tigre che divorera' l'agnello danzando sulle note di "Fame" dell' icona David Bowie.
Von Trier ci descrive cosi il suo Jack, frullando ed inventando cinema nel cinema, autocelebrandosi con frammenti dei suoi "Antichrist" , "Melancholia" e "Dogville" , salendo in cattedra sulle note del pianoforte di Glenn Gould.
Il suo "La casa di Jack" è un film equidistante da tutti gli altri, non strizza l'occhiolino allo spettatore, lanciandolo in una pantagruelica emozione di Gore e splatter.
Ma tutto ciò non è fine a se stesso dato che l'autore danese ci mette tanta tantissima arte al fuoco.
Tra Gauguin, cattedrali gotiche, architettura, manuali di zoologia e viticoltura, saggi su decomposizioni cadaveriche e muffa, il nostro Lars-Jack disquisisce di vita e amore col suo "psicologo" Verge. Interpretato dal compianto Bruno Ganz, voce off per quasi tutto il film che compare negli ultimi 15 minuti, Verge è una sorta di coscienza "morale" di Jack, novello traghettatore nelle idiosincrasie e nevrosi dello stesso regista.
Perché in questo film c'è tutta l'inquietudine e il dolore di un artista provocatore qual'è Von Trier , che qui discetta tutta la sua grandezza artistica.
Il suo ultimo film è una parabola discendente negli inferi, un parlare in prima persona di se attraverso una regia magmatica e respingente. Il regista danese mette al centro un "Albero della vita" nei campi di Buchenwald , luogo che qui diventa "arte" di Goethiana memoria, non ha paura Von Trier di risultare misogino, considerando le donne come "stupide" o sempliciotte.Il suo Jack non è altro che un suo alter-ego, un estremizzazione delle sue nevrosi , che qui si autoconfessa con Verge per liberarsi anche solo per un secondo della sua sofferenza nell'essere un artista del crimine.
Von Trier chiude il film alla sua maniera, dilatando uno stilismo a tratti estenuante, in un finale che lascia un po perplessi, ma non risulta banale, proprio perché tratta il suo film alla stregua di una Divina commedia , dove emergono luci ma sopratutto ombre, quelle che ognuno di noi non accetta, ma che Von Trier ci scaglia generosamente in faccia....
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