Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Le opere di Lars von Trier riescono a suscitare il fascino e l'inquietudine del disvelamento, squarciano il velo dell'ipocrisia e precipitano nella verità, spesso inconfessata e inconfessabile. Le opere riuscite, intendo. Non questo film che, a mio parere, rappresenta un autentico infortunio artistico. La vicenda del serial killer ossessivo compulsivo, spunto potenzialmente interessante, è affrontata in modo tanto didascalico da risultare tediosa. Le efferatezze, squadernate in serie, suonano fini a sè stesse e danno la sensazione della scelta registica disperata di chi, non sapendo bene cosa dire e come dirlo, urla. Stendiamo poi un velo pietoso sulla sceneggiatura pretenziosa che ambirebbe a dignità filosofica risultando, invece, banale esercizio di retorica. Forse consapevole di aver smarrito la via, il regista fa ricorso frequente e, personalmente, gradito, a continui riferimenti artistici 'altri' e digressioni varie, corredate spesso da grafiche raffinate, quasi a volerne parassitare le capacità espressive e la forza iconografica. Per il resto, alla totale mancanza di qualità, si cerca di porre rimedio con la quantità cioè con il continuo ripetere i medesimi concetti fino allo sfinimento. Lo stesso leitmotiv relativo alla dignità artistica dell'efferatezza, riconoscibile solo al di là ed al di fuori della morale, suona più come pretestuosa provocazione che come tema sinceramente sentito ed, infatti, viene trattato con disturbante superficialità. Credo che questo film sia un monumento alla mancanza di ispirazione ed alla triste afasia che ne consegue. Devo dire che un certo riscatto l'ho visto nel finale, cioè nella catabasi. Non certamente perchè vi si ritrovi improvvisamente una sostanza che dia senso, anche parziale, a tutto ciò che lo precede; se ne distacca anzi completamente nell'estetica, recuperando una classicità che riesce ad entrare in una qualche sintonia con la solennità del poema dantesco cui si ispira. La ragione, la speranza e la disperazione, il rifiuto della morte, la dannazione, temi fondanti che trovano una cornice degna nel linguaggio finalmente essenziale ed in una ambientazione volutamente scarna, dominata dal rosso. Il rosso delle fiamme dell'inferno, certo, ma soprattutto il rosso come simbolo di intensità, di passione ed, in ultimo, di sofferenza. Comunque troppo tardi e troppo poco.
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