Regia di Makoto Shinkai, Yoshio Suzuki vedi scheda film
I film di Makoto Shinkai sono il miracolo della sovraesposizione: se nelle fotografie, o nelle immagini dei film, sono necessarie tecniche piuttosto complesse, anche in fase di post-produzione, per riuscire a rendere esposta in modo corretto un'immagine in cui una fonte di forte luce provenga dal campo stesso, nell'animazione questo è un problema che non esiste. Un piccolo miracolo tecnico, che è anche l'obbiettivo dei singoli fotogrammi/disegni di Makoto Shinkai, mettere insieme il cosmico e il privato, l'immenso e l'estremamente piccolo, la catastrofe totale e la depressione.
The Place Promised in Our Early Days (edito in Italia 13 anni dopo la sua effettiva realizzazione nel 2004, col titolo di Oltre le nuvole, il luogo promessoci) è il primo lungometraggio di Makoto Shinkai, definito spesso senza precisione e con molta facilità come il degno erede di Hayao Miyazaki. In realtà, sebbene maestro in ben altri campi dell'animo umano, Miyazaki è forse riuscito a trovare un sentiero simile a quello abbastanza unico di Shinkai solo in Si alza il vento: nei fatti, l'incontro fra un disastro collettivo (la guerra) e la necessità individuale (la degenerazione della propria passione in arma violenta). In Oltre le nuvole, realizzato dal regista in solitaria sul proprio personal computer, la guerra in corso è una situazione inventata, di fantastoria, e a poco a poco si arrampica alla storia intima dei tre protagonisti.
Cantore della distanza e della possibilità del contatto (vedasi Your Name., ultimo suo grande film), Makoto Shinkai riesce nel suo primo lungometraggio a dimostrare un ampio controllo dei dettagli, così da sprigionarne enorme liricità. Spesso non si accontenta di immagini fisse, ma ritiene necessario un costante movimento (lento, graduale, quasi prolisso), che decentra il soggetto di cui si seguono le azioni e che chiede allo spettatore di osservare piccole cose. Esempio lampante è quello delle piccole strisce di luce che percorrono il tetto della locomotiva del treno nella sequenza del primo dialogo fra due dei tre protagonisti. Così Shinkai riesce a rendere l'impercettibilità di un attimo, la sua irripetibilità; il suo è un mondo in cui anche il più piccolo contatto ha le più estreme conseguenze, come un iperbolico romanticismo incontrollato.
Nel caso in questione, l'elemento onirico quasi kubrickiano della gigantesca torre dell'Unione, onnipresente monolite bianco sottile e allungato, deformato dai punti di vista, rappresenta un vero e proprio oggetto di Streben da parte dei protagonisti, sempre attratti da un indefinito altissimo privo di significato concreto. Costretti spesso in un agorafobico scontro fra sogno ed incubo, i protagonisti del film abbandonano lentamente l'estate in cui si scambiarono la solenne promessa di volare insieme intorno alla torre, e si concedono ai più svariati esiti che la vita può riservare: la depressione per uno, un coma onirico per un'altra, un mesto raggiungimento lavorativo per l'ultimo. Tutti e tre sono però ancora incantati da istantanee che il sole ha incorniciato intorno alle loro chiacchierate giovanili e ai loro giochi. Lo spettatore stesso, che assiste con normalità alla quotidianità dell'adolescenza dei tre, avverte di contro un'enorme spinta empatica quando quei momenti apparentemente inoffensivi ritornano nella memoria dei protagonisti, e finiscono per diventare icone di una sofferenza indicibile.
Sayuri si barcamena nei suoi sogni, desiderosa di mantenere un dialogo con i suoi due amici, Takuya e Hiroki, anche solo attraverso i soffici contesti sognanti su cui i tre hanno cucito un magico inconscio collettivo (in altri casi, come Your Name. e Voices of a Distant Star, affidato al collegamento via sms). Takuya cerca di comprendere le dinamiche di un mondo complesso che sembra riportarlo sempre sul luogo di partenza (e che di fatto lo fa, ponendo in Sayuri una delle ragioni fondative degli strani avvenimenti sovrannaturali che si verificano in prossimità della torre). Hiroki affronta invece la depressione di una vita legata esclusivamente al passato, a un debito non saldato.
Incrociando sogno e realtà, e rielaborandone il ruolo classicamente inteso (la realtà è quella di un felice ottenimento dopo anni di fatica e sofferenza; il sogno è un luogo privato e castrante da cui non si riesce a uscire), Shinkai disegna un film cupissimo, un cyber-punk delle emozioni che guarda tanto a Katsuhiro Otomo quanto alla filosofia di Mamoru Oshii filtrata attraverso la delicatezza quotidiana di Isao Takahata (con scontri di sogno e realtà meno turbolenti ma altrettanto destabilizzanti come potrebbero esserlo in un ammorbidito Satoshi Kon).
Lento, disorientante, ambiguo e trascinante, con uno dei finali più belli dell'animazione giapponese, Oltre le nuvole è probabilmente il film più importante di Makoto Shinkai.
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