Regia di Edouard Deluc vedi scheda film
È davvero difficile realizzare un biophic convincente su un pittore: “Van Gogh” di Schnabel, Ligabue rivisitato da Diritti e questo tremendo “Guaguin” ne sono la prova. Sarebbe però quantomeno lodevole l’abbandono di certe pretese autoriali e naïf, di quella vanità d’autore che vuole a tutti i costi il biophic “diverso”, fuori dagli standard della narrazione classica. A pensarci bene, il più grande film dedicato alla vita di un pittore è “Brama di vivere” (Van Gogh, sempre lui) di Minnelli, che è proprio un racconto classico, dalla A alla Z, un cinema dal quale oggi troppi (autori in primis, ma anche molti spettatori) tendono spesso e colpevolmente a fuggire. E se invece fosse quella la forma primigenia dalla quale ricominciare per realizzare biophic efficaci? Contrapponiamo per un attimo questo format a “Gauguin”: il film inizia dando per scontato che lo spettatore conosca vita, morte e miracoli pregressi del pittore, poiché ci si concentra solo su una parte del suo periodo polinesiano. Durante il quale cosa succede? Letteralmente niente. Un caratterizzazione vecchia e ammuffita dell’artista ubriacone e ossessionato, che arranca per novanta interminabili minuti in un mattone di lentezza soporifera che non decolla mai e nemmeno fa partire i motori. Stupisce poi come, paradossalmente ai dipinti sgargianti e variopinti di Gauguin, il regista scelga una fotografia talmente fredda e smorta che par quasi voluta appositamente per smorzare l’impatto lussureggiante e il fascino dell’ambientazione.
Men che mediocre.
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