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L'amore secondo Isabelle

Regia di Claire Denis vedi scheda film

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La recensione su L'amore secondo Isabelle

di laulilla
8 stelle

“l’angoisse d’amour: elle est la crainte d’un deuil qui a déjà eu lieu, dès l’origine de l’amour, dès le moment où j’ai été ravi. Faudrait que quelqu’un puisse me dire : « Ne soyez plus angoissé, vous l’avez déjà perdu(e) » (Roland Barthes – Fragments d’un discours amoureux – Agony - Edition du Seuil – Paris 1977 -pag. 38)

 

 


Come far durare l’amore, quello vero, nella sua più pura essenza è ciò che si chiede tormentosamente Isabelle (Juliette Binoche), bella donna di mezza età, nonché madre di una bambina di dieci anni (al momento del film, custodita dal suo ex marito). Pittrice affermata, Isabelle si realizza solo in parte nel suo lavoro creativo, che pure è proiezione di sé: frequenta l’ambiente dei critici e delle mostre, si muove tra intellettuali che l’ammirano e la corteggiano, ma di loro non sopporta lo snobismo supponente, lontanissimo dalla sua istintiva sensualità. Alla sua non verdissima età, mostra senza falsi pudori il proprio corpo ancora desiderabile con innocente carnalità: generose le sue scollature e ridottissime le sue minigonne; le piace danzare (anche da sola); le piace il buon cibo e, naturalmente, le piace l’amore. È in attesa di incontrare l’uomo che le si conceda senza riserve, senza retro-pensieri, capace di abbandonarsi con dolce smemoratezza, come lei. La sua vita amorosa, come comprendiamo già all’inizio del film, è un disastro, perché la passione e il desiderio si trasformano presto in un crudele gioco di potere ai suoi danni. Dal banchiere attempato (Xavier Beauvois), al giovane attore (Nicolas Duvauchelle), all’ex marito (Laurent Grévill), a Marc (Alex Descas), tutti si difendono da lei e dall’amore: hanno moglie, non vogliono soffrire, si negano, devono partire, non la coinvolgono nei loro progetti, si pentono di ciò che è stato… L’ attesa delle decisioni che non arrivano è una condizione di angoscia continua per lei, aggravata dalla percezione della propria solitudine senza scampo: se un incontro “giusto” sembra prospettarsi, ci penseranno i suoi amici intellettuali a metterla in guardia, a instillarle dubbi, a provocare la crisi. Si affiderà, infine, a un veggente (Gérard Depardieu), in un finale aperto di sorprendente ambiguità; ambivalenza e ambiguità connotano, del resto, l’intero film, oltre a tutti i suoi personaggi.
La regista, infatti, sembra aver costruito la sua ultima pellicola sul dicotomico oscillare fra la gioia e il dolore nel sentimento amoroso, contraddittorio in sé, nodo aggrovigliato di pulsioni ed emozioni, tanto ineffabile da rendere impossibile ogni comunicazione verbale. In uno dei film più parlati della Dénis, le parole degli amanti mostrano non solo la loro inadeguatezza, ma la loro equivoca interpretabilità, quando non la brutalità di un linguaggio adatto solo a definire il possesso, il ricatto e il denaro. La frammentarietà del film ne è un riflesso, ed è frutto di un montaggio volutamente spezzato, che presenta brandelli di storie nel loro farsi, o nel loro prevedibile concludersi, finché, nell’ultima e lunga scena, del tutto inaspettatamente, compare nei panni di un mago un po’ cialtrone e un po’ turbato un inedito e grande Depardieu.
Ispirato dichiaratamente ai Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, lettura amatissima dalla regista, capace di coinvolgerla fino alle lacrime*, Claire Dénis ha sceneggiato questo film insieme a Christine Angot, scrittrice di alcuni romanzi di contrastato successo e anche con l’attiva collaborazione di Juliette Binoche. Un lavoro a sei mani, la cui riuscita a me, ma non a tutti, è sembrata poco discutibile. Un film non facile, ma, secondo me, da vedere.

 

 

 

 

 

* “c’est un livre […] qu’en le lisant je pleurais […] je comprenais exactement ce qui c’est l’agonie amoureuse […] ce n’est pas quelque chose dont on meurt, c’est un goût de son corp, de son âme…

dall'intervista concessa a Jean Sébastien Chauvin e a Jean Philippe Tessé a Parigi il 29 giugno 2017 e pubblicata sul numero 736 dei Cahiers du Cinéma del settembre 2017 alle pagine 34-36.

 

 

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