Regia di Davide Montecchi vedi scheda film
Un torture porn-cervello in cui implodono Freud e Shakespeare. Una stanza mentale in cui danzano immobili personalità proto-cronenbergiane, avvolte da sudari di velluto blu tessuti da un Dio/Demonio assente e daltonico. Personalità sospese in un limbo polveroso dalle atmosfere lynchiane, intrappolate dall'altra parte dello specchio, che nasconde una verità (filmica ed esistenziale) riscontrabile nell'immagine riflessa o nell'Immagine-riflesso, la quale si rivela come fugace - poiché pericolosa - Reale filtrato che mostra i loro inespressi e/o schizofrenici desideri di vita e di morte, d'amore e d'odio, in questo incubo in contro-luce o, forse, sogno in contro-buio.
Un'opera reiterativa sia nell'aspetto drammaturgico che nell'aspetto formale; una serie argentiana, quindi, di Immagini come in(d)izi che si ripetono, che ritornano, fino a diventare, a palesarsi come un'unica verità a due facce; come un'Immagine biforcuta, un'Immagine doppia; un'Immagine-riflesso che si sdoppia, manifestandosi da un punto di vista espressivo come una sorta di "Cattet & Forzani embrionale".
In a Lonely Place frantuma il Reale per poi "rimpastarlo sotto-ipnosi", attraverso un processo emersivo e rivelazionale. Un film, comunque, mai profondamente onirico e mai profondamente reale, quindi un'opera limbale, liminale, che gioca sulle (e con le) superfici. L'eco, l'ombra di un Cinema che tenta di sopravvivere o, meglio, di rivelarsi, di emergere.
Tra l'altro, In a Lonely Place è un film degno di nota anche da un punto di vista tecnico, in cui sono presenti dei lenti e precisi movimenti di macchina che dilatano i tempi e la tensione filmici. Un esordio conturbante ed ipnotico. Un horror cerebrale e velenoso. Insomma, Davide Montecchi è un nome da tenere d'occhio.
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