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La ruota delle meraviglie

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su La ruota delle meraviglie

di alan smithee
8 stelle

La ruota delle meraviglie si è come fermata da tempo, a Coney Island, dove, in pieni anni '50, una famiglia di ripiego - moglie quarantenne al secondo matrimonio con figlio bambino con tendenze piromane frutto della prima unione e marito giostraio ben più più anziano con figlia di primo letto ventiseienne scappata dalle grinfie di un marito gangster che la cerca per farla tacere - cerca di sbarcare il lunario affrontando la crisi, il disamore, e la malinconia della gioventù ormai passata.

Ma il giorno in cui la donna, di nome Ginny, incontra in spiaggia un aitante bagnino, l'amore pare finalmente fare capolino e prendere alla sprovvista entrambi, coinvolgendoli in una storia d'amore segreta quanto proibita. 

Peccato che pure la figliastra di Ginny si innamori del bel biondino, e ne parli apertamente alla donna, sicura di potersi confidare con lei, ritenendola unamatrigna disinteressata e foriera di consigli assennati. 

Sarà la fine di tutto, e la cattiveria chiamata in causa dalla gelosia ossessiva, diventerà la miccia per far saltare un equilibrio già in sé precario e di fortuna.

La vita di coppia è finita per sempre, e la nevrosi per l'insoddisfazione di vivere nella rassegnazione, nel pentimento per gli errori irrimediabilmente sciocchi compiuti istintivamente ed ingenuamente in un passato sempre più lontano, crea ulteriori frustrazioni, scontentezza, nervosismi ed isterie in grado di distruggere tutto ciò di buono che rimane di una coppia scoppiata alla deriva, e pure in quella nuova ove l'entusiasmo dei primi giorni ha lasciato ormai solo più spazio per la gelosia.

Il mondo dei balocchi, che la fotografia accurata di Vittorio Storaro rende ancora più plastificato ed irreale del suo reale aspetto esteriore, è solo una illusione che fa da sfondo alla inevitabile disgregazione di ogni forma di coppia di vita.

E nello scontro che ognuno combattere per sopravvivere alle insidie e agli ostacoli che tengono lontano anche un barlume fioco di felicità e realizzazione, finiscono per soccombere sia i buoni ed ingenui (il bagnino in primis, ma pure la figliastra di Gimmy in fuga dal marito-gangster), sia i cattivi, i corrotti, i condannati a vivere di rancori o insoddisfazione (Ginny stessa e suo marito, posseduto da desideri insani nei confronti della figlia.... e qui Allen indirettamente entra in un campo morboso che lo vede anche, seppur in modo concettualmente differente, coinvolto nella medesima situazione dopo lo scandalo che lo coinvolse ormai un ventennio orsono a seguito della contestata love story con la figliastra).

La notizia migliore è che Woody Allen torna a fare un film interessante, fortedi cinquepersonaggi densi e sfaccettati che sono un condensato di nevrosi e patologie da manuale, nessuno escluso, nemmeno il bambino decenne.

Splendido ed appropriato il cast, tra cui primeggia una giunonica Kate Winslet magnifica, pur nella sgradevolezza isterica del proprio personaggio scomodo ed irritante, ed un generoso ma altrettanto inquietante James Belushi, ultimamente (dopo la partecipazione all'ultimo Twin Peaks) baciato dalla fortuna di una serie di ruoli davvero in grado di distinguerlo e valorizzarlo.

Ma pure Juno Temple è perfetta nel celarsi dentro un personaggio di donna ingenua, pura e fragile chela sorte dicide di tener sempre dalla parte di chi inesorabilmente soccombe. Quanto al noto cantante Justin Timberlake, tutt'altro che nuovo al cinema, possiamo dire che, nonostante il suo personaggio risulti il meno avvicente tra i cinque, egli sa sfoggiarer un assai consono appeal fisico che lo rende perfetto per ruolo dell'uomo desiderabile e desiderato, anzi conteso dalle due donne, e proprio per questo destinato a divenire preda impossibileper entrambe.

Musiche accurate dell'epoca (la celeberrima "You belong to me"  mi è parsa nella versione recentemente ricantata da Annie Lennox, ma non potrei giurarci), scenografie millimetriche se non proprio artificiose da cui spicca la sin eccessivamente accurata fotografia del nostro Storaro, come contorno di lusso di un piccolo film in cui il grande autore torna a parlarci di miserie, di povera gente, di cattiveria che genera altra cattiveria, di possessività che sfocia nell'egocentrismo più efferato e cridele; tutto questo rifuggendo, finalmente, le noie alto borghesi di cui era sin troppo impregnata la recente e a volte deludente ultima produzione cinematografica dell'instancabile Allen regista.

 

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