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La ruota delle meraviglie

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su La ruota delle meraviglie

di supadany
6 stelle

Mai fidarsi degli uomini. Se per questo, lo stesso consiglio vale anche a riguardo delle donne. Segnatamente, dentro di ognuno albergano dei non detti che mescolati con sopraggiunte contingenze possono generare una metaforica valanga. Un moto che travolge qualunque fattore coinvolto nella sua formazione, senza tener da conto eventuali calcoli egoistici e autoindotti, cambiando la geografia dei legami, a volte apportando un reset che riconduce su di una ruota dimenticata dalle meraviglie.

Coney Island, anni ’50. Ginny (Kate Winslet) ha riposto da anni i sogni nel cassetto e vive in riva al mare insieme a un figlio (Jack Gore) con la vocazione da piromane (e un’altra per il cinema) e il suo secondo marito Humpty (James Belushi), un giostraio senza aspirazione alcuna.

La loro routine è interrotta dall’inatteso arrivo di Carolina (Juno Temple), la figlia che ha rotto con suo padre Humpty quando scelse di sposare un boss della malavita, e dalla relazione che Ginny intrattiene con l’affascinante e colto bagnino Mickey (Justin Timberlake).

Ognuno di loro avrà di fronte nuovi obiettivi, difficili da condurre in porto.

 

Kate Winslet, Justin Timberlake

La ruota delle meraviglie (2017): Kate Winslet, Justin Timberlake

 

Se gli anni migliori sono da considerarsi – e da tempo - alle spalle, Woody Allen riesce ancora, e anche nel peggiore dei casi, a lasciare qualcosa di pregiato in ogni visione, magari da rintracciare tra sterpaglie potate solo parzialmente.

Con La ruota delle meraviglie, un titolo quanto mai fuorviante, mette insieme un dramma della normalità, così avara di sogni e scarsamente propensa alla materializzazione dei bisogni (destinati a rimanere illusioni), con la commedia dei sentimenti, sfociando nello spaccato più probabile per un uomo dalla veneranda età, con tanta esperienza sulle spalle: la tragedia, per di più scandita in modo personale.

Per queste sue componenti e per una esibizione per lo più racchiusa in pochi luoghi – la casa di Humpty, il locale dove lavora Ginny e quel lembo di spiaggia sorvegliato da Mickey -, assume i connotati di una piece teatrale, con tanto di balzi di palo in frasca in un montaggio contratto e focus sui singoli personaggi, passando in primo piano da uno all’altro, come le api che transitano da un fiore al seguente.

Tuttavia, se lo svolgimento è brusco e non possiede un gran senso di essenzialità, tutti i personaggi principali hanno una propria ragion d’essere e un filo conduttore in comune, nascosto alla vista eppure facilmente respirabile. Ognuno di essi è un tassello dell’ingranaggio e ha dei desideri percepiti come prossimi, considerati quasi per acquisiti, per quanto l’anello di congiunzione maggiormente sottoposto a urti e trazioni sia Ginny, l’emblema del sogno che diventa delusione, dell’impossibilità di accontentarsi che sbatte contro un muro di cemento armato.

Questo ruolo è impreziosito da Kate Winslet, sottoposta a una consistente pressione nervosa che le consente di sfoggiare una vasta gamma espressiva (da innamorata a stanca, da preoccupata ad amorevole, da sognatrice a rassegnata), irradiata dall’illuminazione – di grande effetto scenico pur se più artefatta di quanto possa capitare anche all’interno di un teatro di posa – che, di giorno o di notte, con il cielo sereno o la pioggia, sulla spiaggia o in un interno, di forma calda o fredda che sia, è sempre un elemento mutevole, un sezionamento di Vittorio Storaro (alla seconda collaborazione consecutiva con Woody Allen dopo Café society) perennemente protagonista.

Intorno a questi elementi che risaltano come pietre preziose, il resto del cast vede Juno Temple (Carolina) in versione ninfetta, una cannonata che chiunque vorrebbe ricevere, Justin Timberlake (Mickey) ha l’entusiasmo, ma anche la disciplina, di chi non vuole perdere l’occasione propizia e la vera pescata a sorpresa è il recupero di James Belushi (Humpty), in una delle interpretazioni più corpose della sua carriera, un uomo rozzo e semplice, che ha bisogno di poco, e poche regole, per stare bene, almeno con sé stesso.

 

Juno Temple

La ruota delle meraviglie (2017): Juno Temple

 

Questi corpi attoriali confluiscono in un atto finale che racchiude delusioni in serie, una tragedia che, a vario titolo, scorre nelle vene ghiacciando il sangue, togliendo – più o meno letteralmente – la voglia di vivere, con una forza maggiore di quanto possa provocare la ferita fisica più lacerante.

Un approdo ammirevole e che lascia lievitare i pensieri, tra la ragione e il sentimento, le nevrosi di una donna affamata d’amore, una gestione dei punti luce calibrata in funzione dei mo(vi)menti, ma anche una trama che in precedenza risulta ballerina, un’esposizione talvolta fatua declamata con la consueta rapidità esecutiva allenniana e la vita chiamata a colloquiare con l’arte (chi ispira e chi è ispirato?).

Pur senza essere quella medaglia da appuntarsi con orgoglio sul petto, Wonder wheel non passa invano, così come le derive umane e i volti che lo marcano a fuoco riemergono distintamente anche quando i titoli di coda scorrono e gli occhi si chiudono.

Amaro, dal sapore tremendamente vero.

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