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Solo - A Star Wars Story

Regia di Ron Howard vedi scheda film

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La recensione su Solo - A Star Wars Story

di lussemburgo
6 stelle

 

Secondo contribuito all’universo espanso cinematografico di Star Wars, Solo, rispetto a Rogue One, l’altro prequel interstiziale estraneo alle trilogie ma facenti parte del canone ufficiale, è però forse il primo episodio di una continuità destinata ad avvicinarsi progressivamente al primo capitolo (ma VII nella sequenza cronologica). Il film, come da titolo, intende introdurre uno dei personaggi più iconici del mondo di Guerre Stellari, Han Solo, che qui trova cognome e definizione, con l’aggiunta degli elementi più rappresentativi del suo ambito narrativo (ovvero Chewbacca, il Millennium Falcon e Lando Carlissian) all’interno dello scontro perenne tra Impero e Ribellione, qui ritratto nel suo momento espansivo di conquista territoriale, che fa da sfondo imperituro alla saga stellare.

E Ron Howard, da suo solito, svolge egregiamente l’incarico, con un film senza guizzi particolari né coloriture stilistiche che assolve alla sua funzione con dignità. In questo compitino, centrato tematicamente sul tradimento e sull’identità, concetti fondamentali alla composizione di un personaggio borderline nei confronti di questi assunti poiché sempre dibattuto tra interesse e dedizione, il regista non si sbilancia nell’uniformare la confezione al contenuto, ma assembla elementi disparati. Mette in scena un western e un film di guerra, tra pistoleri, duelli e trincee, Leone e Kubrick, per poi spostarsi su un fronte alla Mad Max (Under the Thunderdome, per l’esattezza, tra deserti attrezzati e solitari bambini ribelli) tramiteunheist moviecon stangata e colpo al treno che è anche un melò romantico, sino a citare frammenti espunti da Lucas (sparare per primo al duelli) per avvicinarsi a casa e all’epopea originaria. È probabile che la struttura paratattica di assemblaggio di stili ed episodi provenga dall’iniziale attribuzione della regia a Lord e Miller, autori tendenti alla parodia e al post-modernismo spinto (Piovono Polpette, Lego Movie, 21 e 22 Jump Street), retrocessi al ruolo di produttori esecutivi per il timore di un troppo sfacciato e irriverente anticonformismo alla norma “stellare”. Se il protagonista è sufficientemente adatto al ruolo, è soprattutto nel casting di alcuni ruoli secondari, mutuati dalla serialità considerata più innovativa (Danny Glover di Altanta, Phoebe Waller-Bridge di Fleabag e di Killing Eve) o maggiormente mainstream (le ricche produzioni HBO di Westworld, del Trono di Spade o di True Detective) che si evidenzia una volontà di modernizzazione del testo. Sebbene Howard non cambi stile, ad ogni ambientazione corrisponde almeno una diversa fotografia, che passa dal buio (fastidioso) del pianeta iniziale, alla monocromia fangosa della guerra, dalle tonalità bluastre dell’ambientazione montanara sino alla lucentezza ocra delle spiagge desertiche finali, con una certa simpatia per i primi piani controluce e la nuova norma Stellare di un forte illusione di realismo nell’uso della computer grafica.

Costretto a arruolarsi nella fanteria dell’Impero per sfuggire ad un regime opprimente, Han diserta il fronte per associarsi ad un gruppo di criminali, freelance ma affiliati all’occorrenza a potenti sindacati,per rubare carburante: ma tutti sembrano lavorare contro tutti, con l’Impero che trama con e contro i sindacati criminali per asservire pianeti e arricchirsi di beni e di potere, i ladri cambiano fazione e ordiscono trame di fuga avversando i propri complici, dei ragazzi si mascherano da adulti quando la resistenza diventa mera sopravvivenza. Incarnazione perfetta di un mondo sfatto dalle liquide collaborazioni è Lando, nemico spesso e a volte collega di Han, baro conclamato e contrabbandiere elegante, così come la figura del mentore mentitore Beckett, pistolero da saloon (affiancato da Thandie Newton che imperversa nei saloon delWestworld serialeprodotto da Abrams) e cowboy senza causa; ma non sfigura Qi’ra, amata compagna d’infanzia di Han e vice del boss Vos, sempre ambiguamente seduttiva e interpretata(senza molte sfumature) dalla Regina dei Draghi Emilia Clarke. Ma è nel drone femminile L3-37, innamorata di Lando e ribelle per la causa della liberazione delle macchine, che si ritrova una carica emotiva, analoga alle pulsioni ciniche e depresse del K-2SO di Rogue One: questi droidi forse, incarnano, nella loro scorza metallica, il senso del rispettivo film, dal sentimentalismo anarcoide della automa di Solo al pessimismo ontologico che prelude al finale della prima Star Wars Story, dando ai protagonisti robotici una carica di coinvolgimento ben diversa dalla quasi esclusiva funzione di alleggerimento comico che rivestono nelle tre trilogie istituzinali.

La storia di Solo, che qui inizia da Dickens, (orfano in un pianeta oppresso che vive di espedienti) e, col parricidio di Ben, finisce in Shakespeare (indomito eroe della Resistenza), attraversa tappe di avvicinamento al mito noto che ne vanno a smussare le asperità e a sfumare i dettagli, sempre cercando un’identità in via di formazione e attraverso il reciproco tradimento di ogni altro personaggio. E, nei confronti dell’identità da stabilire di Han Solo, il film forse ne tradisce le basi cercandone le premesse, facendone una personalità in cerca di definizione perché in balia degli eventi, sballottato dall’azione e dall'avventura, nei confronti di cui agisce per reazione, come lo spettatore stesso, costretto a viaggiare nella galassia in un bildungsroman di cui si conosce l’esito ma intuisce la tappe. Solo non si impone ma partecipa, intuisce e impara la collaborazione e il tradimento ma quasi mai agisce per iniziativa personale, adattandosi morbidamente al contesto come un anti-eroe liquido con guizzi di generosità. E in questo travaglio tutto esteriore rimane infine spazio sufficiente per ulteriori approfondimenti ed avvicinamenti al carattere originario, con trame e personaggi sospesi in generosi cliff-hanger.

 

 

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