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Cinque pezzi facili

Regia di Bob Rafelson vedi scheda film

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La recensione su Cinque pezzi facili

di OGM
8 stelle

Il protagonista di questa storia è contemporaneamente dentro e fuori la vita: prende spunto dalle vicissitudini quotidiane per esprimere la sua volontà di essere altrove e diverso dal resto del mondo, dando sfogo ad una fantasia rabbiosa, estemporanea e beffarda. Questo è il suo modo elegante e spavaldo di prendere la vita a testate, laddove gli altri personaggi l’affrontano a colpi di infantilismo o paranoia, sfoderando un’ingenuità maldestra, capricciosa e fintamente tragica. L’umanità di questo film, né disillusa né speranzosa, né rassegnata né ribelle, eppure così sopra le righe,  sembra un dipinto pop art, in cui Bobby rappresenta il motivo geniale e sgargiante su uno sfondo decisamente kitsch. In esso spicca il fotomontaggio grottesco di una borghesia andata in pezzi e rimessa malamente insieme con lo scotch, e che pure rivendica la piena dignità culturale di un tempo. Per i Dupea, la tradizione familiare della musica ha ormai il suono stanco e casalingo di una poesia amatoriale, in cui l’abitudine ha preso il posto della passione, e un’ottusa disciplina fa da inutile surrogato all’ispirazione. Con la sensibilità per l’arte se n’è andato anche il senso della realtà, e l’assenza di bellezza ha annientato il gusto estetico e ucciso lo spirito critico. La comunicazione, ormai priva di contenuti emotivi, si è irrigidita intorno ad uno scarno sistema di convenzioni, ed è andata in tilt, come l’anziano padre, reso muto e immobile da un attacco ischemico.  Ma quella che Bobby avverte come una comunità chiusa e ostica,  dai contorni duri, e con i respingenti, per Catherine è invece il terreno sassoso in cui provare a piantare un po’ di amore e coltivare la  bontà. Lei punta alla pace, che per lei significa restare: per questo sceglie di continuare a vivere in mezzo a quello strano nido di persone addormentate, camminando fra loro in silenzio e in punta di piedi, per accarezzarne dolcemente le teste sognanti. Per lui, invece, fuggire è l’unico modo per non impazzire, per evitare di guardare troppo a lungo le stesse facce, in cui non riesce proprio a riconoscersi. Non aspetta mai che la consuetudine appiani i contrasti, e renda tutto ovvio e facile: suonando e risuonando un brano lo si impara infine a menadito, però si rischia, non di rado, di consumarne per intero l’anima.  In questo film Bob Rafelson è un compositore fuori dai canoni, che costruisce la sua opera sul principio della dissonanza e dell’incompiutezza; egli crea un’informe polifonia che elude ostinatamente l’accordo, per dare voce alla sregolatezza e al disorientamento di tutte le realtà perdute.

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