Regia di Bob Rafelson vedi scheda film
Film Nicholson-centrico con fantastica interpretazione del protagonista, forse la migliore in carriera insieme a quella di “Shining”. Bob Rafelson costruisce una storia tipicamente post-sessantottina (i salotti borghesi in casa, la logorroica-riottosa autostoppista, oltre che, naturalmente i costumi), in cui un uomo, Bobby (a metà strada tra il “Born to be Wild” e il “Born in USA”) cerca di capire il perché del suo “to be born in America”. Bobby viene da una famiglia di musicisti alto-borghesi del Nord degli Stati Uniti, ma per buona parte del film si trova a fare l’operaio sottopagato nel Sud degli USA, con una compagna svampita e degli amici che vivono in roulotte. Un po’ la dicotomia, non solo americana, della fine degli anni ’60, in cui il mondo si chiedeva su quale sponda stare. Bobby non sa decidersi; senza fissa dimora, senza obiettivi, senza un amore vero, Bobby alla fine, dopo uno sfogo con suo padre, paralizzato e muto che sembra il ritratto vivente di Karl Marx, decide di stare esattamente nel bel mezzo del fiume in piena, abbandonando ancora una volta tutto.
Il film è tecnicamente minimalista, ma non povero, si direbbe piuttosto “crudo”, ossia essenzialmente votato a fotografare alcune situazioni ed alcuni animi senza il minimo tentativo di romanzarlo, edulcorandolo necessariamente. Testimonianza lampante è l’assenza della musica, se non quella rara (ma esclusivamente intradiegetica), come dimostrano anche i titoli di coda, tristemente lanciati sull’audio originale di un’anonima motorway americana, emblema estremo della spersonalizzazione.
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