Regia di Elia Kazan vedi scheda film
Ultimi dieci anni della vita di Emiliano Zapata, dalla rivolta contro il dittatore Porfirio Diaz fino all’omicidio a tradimento (1909-19). Ogni tanto anche a Hollywood va in scena la rivoluzione; ma una rivoluzione incompiuta, che si arena fra le lusinghe del potere, gli attendismi e gli opportunismi. Lo si vede soprattutto nei personaggi di contorno: il presidente Madero, un idealista che non riesce a mantenere le troppe promesse e finisce ucciso dai generali; il fratello di Zapata, che pensa a monetizzare i tanti anni di guerriglia; l’agitatore professionista, che rimesta nel torbido e “impersona le tentazioni staliniste di ogni rivoluzione” (Mereghetti); in fondo anche Pancho Villa, che compare solo pochi minuti per dire che non vede l’ora di ritirarsi a vivere nella propria fazenda. La storia è molto semplificata, con poca azione, e anche i combattimenti si svolgono quasi sempre fuori campo. C’è invece la crescita interiore di Zapata, che va incontro alla morte dopo aver capito quanto un leader possa essere ingombrante per la sua nazione (“Un uomo forte fa un popolo debole”): tesi peraltro confermata dalla sua mitizzazione postuma, le cui origini si vedono alla fine del film. Brando offre un’interpretazione potentemente carismatica, quasi ieratica, più da uomo di pensiero che da guerriero: è impacciato solo negli improbabili amoreggiamenti con Jean Peters, che appesantiscono la prima parte.
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