Regia di Luigi Comencini vedi scheda film
Romanzo popolare nel senso più assoluto del termine (nello stesso anno della commedia di Mario Monicelli), è uno dei film meno capiti e meno celebri di Luigi Comencini, il più sensibile e meno inquadrabile tra i maestri della commedia all’italiana. Che, non lo si dimentichi, negli anni cinquanta aveva costruito (assieme a Ettore Margadonna) un altro grande romanzo popolare, sebbene più lieto e frivolo (Pane, amore e fantasia e Pane, amore e gelosia): l’interesse di Comencini nei confronti degli umili, dei poveri cristi (Lo scopone scientifico, tanto per far un esempio), insomma, aveva già fatto capolinea nell’arco della sua carriera.
Qui il tono è certamente più gravoso, perché siamo nei pressi di una storia d’amore nudo e crudo in un contesto che più proletario non si può (una fabbrica nel milanese), infarcita di elementi tipici del temperamento meridionale (enfatizzazioni, vendette, sotterfugi) del suo autore (Ugo Pirro) e filtrata attraverso la caratteristica delicatezza mai melliflua né mielosa del regista lombardo. Come Anonimo veneziano si presentava come risposta nostrana a Love Story, Delitto d’amore può essere considerato un Love Story di sinistra, cupo e fumoso, fosco e disperato (fotografia di Luigi Kuveiller), forse non sempre riuscito o calibrato ma efficace nella giusta mescolanza di realismo sociale e melodramma romantico, con un’ultima parte opportunamente straziante. Merito anche di due attori bravissimi: Stefania verace e passionale, Giuliano sanguigno e coinvolto (che sia la sua miglior prova?). Commento musicale di Carlo Rustichelli: si sente.
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