Tintorera è un prodotto anglo/messicano che racconta la libertà e la rivoluzione sessuale vissuta negli anni 70 che essenzialmente stravolge il ruolo della donna proclamando l’amore libero…la femmina di squalo tigre apostrofata “Tintorera “e temuta dagli indigeni e vacanzieri è solo di cornice e forse il pretesto per radunare adulatori del genere “animali assassini” ed incassare al botteghino magari con locandine “ingannevoli” sulla scia del grande film sullo squalo bianco.
Questa volta siamo in Messico e due playboy che nuotano in diversa agiatezza economica si scontrano/incontrano a causa di una rivalità amorosa…presto però diventeranno amici e condivideranno tutto come la passione per le donne e la caccia agli squali.
Bellissima location che incornicia spiagge, topless, cocktail, discomusic ed in generale culi al vento…la messinscena racchiude l’essenza del divertimento e della spensieratezza, il non pensare al futuro e godersi essenzialmente il momento/vita e quindi incarna quella dose di innocente trasgressione goliardica vissuta nel post 68 ma il tutto è “fotogrammato” con leggerezza e serenità…l’unica preoccupazione è rifornirsi di un adeguato quantitativo di superalcolici, organizzare festicciole a largo della spiaggia e di non andare in bianco.
La regia infatti alterna momenti da “menage a trois” sul lussuoso yacht del pensieroso Steve che vive all’ombra della paura del domani in compagnia della libertina anglosassone Gabriella e del gigolò indigeno Miguel a riprese sottomarine ben girate in stile documentarista dal coregista Bravo con i vari abitanti marini come i “diavoli di mare” oppure i pesci pilota che vivono in simbiosi con i grandi predatori fornendogli il classico servigio della pulizia. Menzione a parte per uno dei pochissimi attacchi dello squalo tigre…sembra molto credibile, lo squalo è vero e non si esagera con le dimensioni. In effetti è la risposta hollywoodiana per eccellenza al capolavoro di Spielberg prima dei vari b-movie all’italiana di Castellari, Ricci & company…non c’è la famiglia ed il lavoro al centro del thriller/horror marino oppure il business dell’isola in contrapposizione all’etica del poliziotto eroe per caso ma essenzialmente il mostro acquatico è un escamotage per raccontare edonismo, vizi ed emancipazione dell’epoca con quel pizzico sexy strappa biglietti ma con un sotto testo diverso…nello “Squalo” il cattivo è il predatore cartilagineo mentre nel film di Cardonà è l’uomo l’ animale più feroce che uccide con fucile e fiocina senza un motivo.
Insomma un cult ben girato, trash ma d’autore. Esistono varie versioni ed addirittura una che dura più di due ore. Purtroppo la versione che passa in rete dura circa 90 minuti.
Buona visione.
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