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Rey

Regia di Niles Atallah vedi scheda film

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La recensione su Rey

di alan smithee
8 stelle

TFF 35 - TorinoFilmLab

Cile 1860: L’avvocato francese Orélie-Antoine de Tounens, appassionato di viaggi avventurosi nelle zone più inesplorate del pianeta, si reca in Patagonia con il compito di incontrare e sostenere il capo dei ribelli delle tribù locali Mapucha, il fantasmagorico e leggendario Quilapan.

Persosi assieme ai suoi uomini nel bel mezzo di quelle amene ma infinite terre inesplorate, e colto da una sorta di delirio di onnipotenza, l’uomo si autoproclama re di quei territori vergini, e si mette contro i coloni spagnoli, intenti a far proprie tutte quelle terre.

Arrestato, l’uomo subirà un processo lungo e scandagliato che il film, stupefacente per stile, simbolismi e tecniche di rappresentazione, ci raggruppa in capitoli rappresentati come all’interno di un teatro di maschere e burattini, seguendo diverse scandagliate fasi processuali che introducono, tornando a ritroso, i fatti che hanno portato alla cattura e all’arresto del folle condottiero.

Essi sono, nell’ordine:

1) prigionia;

2) giudizio,

3) tradimento;

4) la febbre;

5) l’esilio;

6) Epilogo.

Ne scaturisce un film sulfureo, misterioso, diabolico, scomposto ma attraente come i colori delle maschere che ricoprono i visi delle parti in causa di un processo/farsa utile solo a celebrare la fame di onnipotenza insita nella razza umana, desiderosa di espandersi ed arricchirsi sulla pelle dei conquistati, sottomessi e soggiogati sia da un contendente, che dal suo rivale.

Niles Atallah, cineasta americano ma di origini cilene, non si cura della linearità del racconto, ma al contrario sperimenta, sia narrativamente che visivamente, alternando ricostruzioni altamente scenografiche e utilizzo di filtri coloratissimi, ad immagini di repertorio spesso storiche e rare o rese ancor più vintage con abili tecniche di colorazione, e raccontando la storia attraverso le fasi di un processo che ci riporta a ritroso di un’epica folle, titanica e sconclusionata come solo un altro Werner Herzog avrebbe altrimenti potuto apprezzare ed esaltare in un suo film.

Ne scaturisce, come figura di protagonista assoluto, quella di un conquistatore sognante, a suo modo romantico, quasi donchisciottesco nella sua follia enfatica e senza freni, incurante sia del suicidio collettivo a cui sta portando la sua sparuta armata di disperati, sia dell’inutilità del suo folle gesto di visionaria e molto umana, prepotente ma ostinata onnipotenza.

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