Regia di Jia Zhang-ke vedi scheda film
Torino Film Festival 36 – Festa mobile.
Da anni, la società contemporanea sta vivendo un’evoluzione talmente rapida da non conoscere eguali in tutta la storia dell’umanità. Avanza a passi da gigante e coinvolge tutti i suoi tratti distintivi, in modo ancora più evidente in quei territori che hanno conosciuto uno straordinario boom economico. Pertanto, nel giro di un ridotto lasso temporale, la geografia è mutata drasticamente, ad esempio con laghi che hanno preso il posto della campagna, alcune aree sono state spopolate per rinfoltire nuovi centri abitati, ma innanzitutto sono gli esseri umani a essere cambiati più profondamente. Di fatto, gli usi e i costumi hanno subito una rivoluzione, i comportamenti tradizionali sono andati in malora, stritolati dalla mancanza di rispetto, la memoria è diventata più ballerina che mai e perfino la riconoscenza si è trasformata in merce rara.
Queste – e altre – caratteristiche sono discettate in Ash is purest white, con cui Jia Zhang-ke torna a meditare sui cambiamenti epocali accorsi in Cina dal 2000 a oggi, disponendo una disamina articolata e liquida.
Datong (Cina), 2001. Bin Guo (Fan Liao) è un piccolo criminale, Zhao Qiao (Zhao Tao) una ballerina che diventa la sua ragazza. Quando Bin subisce un violento pestaggio da parte di un gruppo di ragazzini, Zhao lo difende impugnando una pistola e per questo è condannata a scontare una pena detentiva di cinque anni.
Nel 2006 esce di prigione e scopre come il paese che aveva conosciuto sia stato completamente stravolto, così come nel frattempo il paesaggio umano che aveva lasciato non si sia fermato ad aspettarla.
A prescindere da tutto, seppure tra mille difficoltà, combatterà per ciò che più tiene al mondo.
Rispetto ai tempi del Leone d’oro Still life, il cinema di Jia Zhang-ke è entrato per gradi in una corsia più narrativa, evidente con Il tocco del peccato e Al di là delle montagne, ancora più gemmea in Ash is purest white, con cui l’autore si conferma cantore delle vorticose trasformazioni della Cina contemporanea.
In lungo e in largo, il contenuto trabocca di riferimenti, dall’invasione della cultura occidentale, utilizzando nuovamente brani musicali iconici, all’edilizia che abbandona interi paesi per edificarne di nuovi con conseguenti deportazioni legalizzate, animaleschi atti di violenza senza un perché, la gioventù completamente fuori controllo, la lealtà e la rettitudine delle fratellanze rimosse come se non fossero mai esistite.
Un modus operandi che edifica un itinerario progressivo, vissuto attraverso la prospettiva di una donna – interpretata da una quanto mai intensa Zhao Tao, spremuta all’ennesima potenza e lacerata dalle frustrazioni – coprendo vent’anni di cambiamenti con straordinaria capillarità e passaggi temporali di sconvolgente fluidità.
Contemporaneamente, l’armamentario snocciola diversi modelli cinematografici, tra scaglie di gangster movie, rallentamenti melodrammatici e uno sguardo sociale profondo ed erudito, una commistione che non inficia minimamente automatismi di assoluta consequenzialità, ininterrottamente aderenti e incisivi.
Attraverso questo ricercato background, Jia Zhang-ke proclama la delusione per un processo di metamorfosi inarrestabile e il conseguente pessimismo verso il futuro di una nazione troppo estesa e indirizzata per essere interrogata pubblicamente sulla strada da prendere, in pratica un continente a parte dove occorre scendere al livello altrui per non affogare, reinventarsi velocemente per non finire in disparte, lottare con forza - e pelo sullo stomaco – per conquistare un barlume di speranza.
La fusione di tutti questi fattori, rende Ash is purest white prezioso, scandagliabile da angolazioni differenti, con un’impronta cosciente che assorbe i mutamenti macroscopici per poi addentrarsi nel personale e avvicinarsi così anche allo spirito, con domande sospese e una realtà ancora troppo lontana da ogni minimo tentennamento per concedere risposte e sanare le ingiustizie.
Riflessivo, pugnace e fluente.
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