Regia di James Franco, Pamela Romanowsky vedi scheda film
Ancora una storia ispirata a fatti realmente accaduti: le efferate vicissitudini che occorrevano in pieno XIX secolo nei pressi di Baltimora, presso il famoso, ma anche famigerato, istituto di cura mentale Rosewood. Si fa ricoverare una ragazza di buona famiglia accompagnata dal fratello, dopo i traumi e la depressione subiti a seguito della morte improvvisa dei genitori.
Costei, bella e fiduciosa delle prospettive illustratele circa la capacità di recupero offerte dall’avvenente direttore della clinica, che si innamora della ragazza, si lascia convincere a sottoporsi ad un trattamento a base di laudano ed alcune altre misteriose sostanze, in grado di alleviare le capacità di raziocinio della paziente, sempre più succube al pari di molte altre pazienti della struttura.
Riuscita a svincolarsi dal giogo di una dipendenza apparentemente senza uscita, la ragazza saprà industriarsi e trovare la via della salvezza, non senza rinunciare ad una sana, premeditata vendetta nei confronti dei suoi carnefici, direttore della struttura (James Franco), medico sadico (Tim Blake Nelson, attore del clan Franco, spesso coinvolto nelle fatiche dell’infaticabile attore-regista) e facoltoso finanziatore dell’istituto (Eric Roberts).
Forte di un cast che prevede nomi noti soprattutto coinvolti in parti di contorno, (tra gli altri figurano pure Josh Duhamel, Topher Grace, la governante acida Lori Singer - accidenti al tempo che passa! – e persino la procace Pamela Anderson in una apparizione fulminea), la regista Pamela Romanowsky, molto amica di Franco, protagonista del suo lavoro precedente, il ben migliore "Le verità sospese" (2015), si fa affiancare nella direzione da quest’ultimo, sempre più impegnato tra recitazione e regia seguendo ritmi convulsi da primato, per dirigere un horror a tinte fosche che punta ossessivamente sulle suggestioni d’ambiente, nel tentativo di sfornare un prodotto che sappia affascinare puntando su un fascino da B-movie che dovrebbe quanto meno attutire certe situazioni al limite dell’imbarazzo.
Ma la vicenda, pur giocando le sue carte migliori sulla affascinante sinistra location, visualizzata con cadenza quasi ostentata come al centro di una amena ripetitiva diapositiva ricorrente, è raccontata in modo scontato, posticcia come i baffi storti e ridicoli sul volto perennemente imbronciato di un poco impegnato e coinvolto James Franco (che pure, tra interpretazione e regia, dovrebbe esserlo eccome, anche a scapito della sua vorticosa agenda di progetti cinematografici) e la presenza della pur carina protagonista, tal Anne Gallerani, non riesce mai a fornire quel trasporto emozionale in più che sulla carta la vicenda poteva promettere od ispirare.
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