Regia di Ettore Scola vedi scheda film
https://www.youtube.com/watch?v=mkusPsDegnE
Trent’anni (circa) passano dall’armistizio al momento in cui il film si congeda col suo pubblico. Un tempo sufficiente per consentire a Scola (su una sceneggiatura firmata dallo stesso nonché da Age & Scarpelli) di esprimere tutto quello che un certo spaccato dell’Italia di allora (ovvero di quella che fu partigiana) aveva in cuore.
Amarezza e disillusione.
Perché dall’essere stati uniti, fratelli, come una cosa sola si erano prese strade diametralmente opposte. E perché quell’ideale di libertà e giustizia - per l’affermazione del quale si aveva messo a repentaglio la propria stessa vita - era irrimediabilmente tracollato.
Ma ben quaranta sono gli anni che ci separano da quella fedele rappresentazione. Quaranta lunghi anni durante i quali, di fatto, non è cambiato nulla (perché il requiem degli ideali - e delle amicizie tradite - lo si è celebrato ancora ed ancora, finanche sull’altare del mezzo televisivo, divenuto più spietato e pressapochista che mai)…
Ma durante i quali, a ben vedere, qualcosa è cambiato; anche solo sul piano generazionale. Perché alla generazione che ha vissuto sulla propria pelle la guerra (la peggiore di tutte) si sono sostitute quelle che non hanno fatto tale esperienza. Generazioni figlie di quel malessere interiore ben immortalato dal film, ma prive del ricordo delle grandi, eroiche gesta (dove era in ballo la vita, ma mai l’amicizia). Per la semplice ragione che non si può dire (e credere) di ricordare ciò che non si è vissuto in prima persona.
Questo è il principale (ma non l’unico) motivo per cui C’eravamo tanto amati - pur forse uno dei più importanti film di Scola (e della cinematografia italiana) - non mi ha coinvolto particolarmente. Da subito mi ha indispettito il fatto che produttore del film sia stato la Philip Morris (con relativo product placement); poi ho mal digerito l’eccesso di sentimentalismo che sospingeva costantemente i 3 protagonisti fra le braccia di Luciana (S.Sandrelli); ma anche la scelta del genere (ma, d’altronde, allora era in voga un certo tipo di commedia; leggera, ma riflessiva ed intelligente) non mi ha entusiasmato (perché smorza la forza evocativa della tragedia esistenziale in via di consumazione… anche se è vero che l’ironia lapidaria di talune battute camuffa abilmente profonde verità umane).
Ma la verità è che C’eravamo tanto amati custodisce ricordi malinconici (perché sono fotografie più vivide ed intense di un tempo presente - quello di metà anni’ ’70 - già plumbeo, opprimente ed angosciante, perchè non offre vie d’uscita) che appartengono esclusivamente ai nostri padri.
Coloro che potranno apprezzare davvero il film.
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