L’unica cosa di cui sorridere a proposito dell’opera prima di Ana Asensio è il titolo. A fronte di un film che fa di tutto per mettere alle corde la tranquillità dello spettatore, precipitandolo nell’angoscia che sempre subentra quando si parteggia per l’incolumità del protagonista, messa a repentaglio da un incombente quanto sconosciuto pericolo, Most Beautiful Island rappresenta quasi una boutade, riferendosi si, alla città di New York, ma qualificandola con un superlativo assoluto che per nulla corrisponde al tenore della vicenda raccontata nel film. Questo perché dopo una partenza drammatica ma tutto sommato ordinaria, in cui la regista suggerisce le ragioni del dolore che perseguita Luciana, inducendola ad allontanarsi dalla famiglia nel vano tentativo di tenerlo a distanza, Most Beautiful Island, e con esso la metropoli newyorkese, diventano in realtà lo scenario di un incubo a occhi aperti. Succede infatti che la protagonista, a corto di soldi e allettata dalla lauta ricompensa di un lavoro apparentemente sicuro, si presenti in abito corto e tacchi a spillo nello scantinato di un edificio fuori mano dove ad attenderla ci sarà una misteriosa organizzazione e un gruppo di notabili alla ricerca di emozioni forti.
Prodotta da Larry Fessenden, uno dei campioni dell’horror indipendente americano, Asensio si pone sulla scia dei tanti connazionali che si sono imposti sulla scena internazionale cimentandosi nel prodotto di genere. Quello di Most Beautiful Island è infatti un thriller che si avvicina al macabro quando lascia intendere che l’immaginazione in esso contenuta si avvicini di molto alla realtà, e che le pratiche messe in atto dai loschi figuri che tengono prigionata Luciana altro non siano che la trasfigurazione di fatti reali, accaduti davvero, seppur a nostra insaputa. Tenendo a mente un film come Tesis e la maniera con cui Amenabar era riuscito a romanzare uno dei pochi tabù del nostro tempo (la realizzazione degli Snuff Movie), la regista enfatizza il realismo della messinscena con riprese e fotografia che riprendono il paesaggio alla maniera del cinema documentario. A parte questo, Most Beautiful Island utilizza meccanismi e stilemi tipici del genere, come quelli di far salire la tensione nascondendo fino all’ultimo che tipo di inferno attende Luciana nel momento in cui entrerà dentro la stanza degli orrori.
Girato con un budget esiguo che però nelle mani della Asensio diventa risorsa, permettendole di “sporcare” la storia con una buona dose di verosimiglianza, Most Beautiful Island deve molto all’efficacia del montaggio che taglia il superfluo e concentra la vicenda in ottanta minuti di pura follia. Distribuito nelle sale nel prossimo Agosto, il film è di quelli da godersi in un sol boccone.
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