Per amare questo film bisogna amare Anderson, un regista che fonda molto della sua arte cinematografica sull’estetica, sulla fotografia, sui costumi, sui primi piani, un inno alla lentezza da assaporare minuto dopo minuto. Una storia d’amore fra due estremi che nasce in modo inverosimile, ma questo serve solo ad Anderson per innescare il suo modo di fare cinema. La storia di amore si dipana fino a fare emergere la (quasi) impossibilità di tenere insieme questi due estremi. Lui un eterno scapolo d’oro, dai modi garbati ed eleganti, amato e temuto da tutti, che guida il suo atelier di moda come un imperatore insieme alla sorella, sempre inseguito dalle sue ricche clienti, che lo incensano e lo temono ma sempre lo desiderano. Lei, un’impacciata ragazza di campagna. Ma dietro alla facciata di lui c’è un uomo debole, che è spigoloso e intransigente, e anche nella storia d’amore non esita ad essere sprezzante e a tratti offensivo con la sua giovane donna. La quale, alla prova dei fatti, è meno impacciata di quanto sembri, regge infatti sempre i ”colpi” di lui, anzi, capito le debolezze del suo uomo lo fronteggia, anche con metodi non convenzionali, alla fine i due giungono a nozze e lui si adagia a lei pur intuendo il “compromesso” nel quale è caduto. La storia in se è piuttosto fantasiosa, ma qui prevale lo ripetiamo la poetica. Ci sono poi figure “mitologiche” nel film come la madre defunta e la sorella intransigente del protagonista, storie nelle storie tutte a comporre un puzzle costruito al millimetro.
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