Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Guida al presunto capovaloro "cucito su misura" per i suoi fans più accaniti.
Anderson adora le psicologie fragili, ed anche con questo bignamino dell'eros e thanatos vorrebbe sedurre attraverso una vicenda apparentemente forte, racchiusa come un messaggio tra le cuciture di un abito.
La storia è presto detta: Reynolds è un sarto rinomato, pedante, monotono e isterico, cura con la sorella androide un atelier presso il quale si servono nobili e reali, maniaco del lavoro, dedica ai rapporti sentimentali brevi fiamme coinvolgenti, per poi reimmergersi nel suo climax ideale tutto merletti, ricami e tessuti.
Un giorno incontra Alma, camerierina rupestre dall'aria assai albarohrwacheriana, che lo intriga a nuovi entusiasmi e corre a vivere con lui.
Ma il nostro (un Daniel Day-Lewis forse all'ultima esibizione attoriale, come da lui stesso annunciato da tempo) si stuferà presto e la nostra eroina Alma dovrà inventarsi qualcosa per legare a lei per sempre il capriccioso stilista.
Ora da più parti mi si parla di “capolavoro”, di “poesia”, di “incanto visivo”.
Faccio davvero fatica a percepirne anche in minime dosi.
Una storia iperbolica dove tutto oltrepassa il limite del “buon senso”, ad iniziare dal sarto morbosamente paranoico, passando per la sorella badante che gestisce rapporti ed economia aziendale, per finire alla nostra camerierina presentata inizialmente come sbadata e col tipico rossore guancesco delle fanciulline campagnole, ma pronta a mollare tutto al volo per dedicarsi al bel mondo del lusso e della moda.
A doveroso corredo: abiti orrendi (quello iniziale da Biancaneve, riproposto anche più tardi, un vero must dell'orripilant), musiche stucchevoli, colori appassiti a rendere le atmosfere baluginevoli, primi piani insistiti, particolari di pizzi, stoffe e trame.
“Fai di me quello che vuoi ma fallo con delicatezza” questo il preambolo col quale Anna si dedica al sarto pazzariello, e lei, con la sua faccetta quasi sempre accigliata e spettinata, comprenderà di doversi sostituire come musa alla madre protettrice del nostro eroe, scomparsa da tempo, e della quale il nostro sarto conserva una ciocca di capelli nella giacca ad altezza cuore per averla “sempre accanto” (non indossando solo quella giacca, immaginiamo che abbia distribuito l'intero scalpo materno in tutte le sue svariate giacchette che indossa prima di cena, dopo cena, per la passeggiata, dopo il bagno, per la colazione e mentre disegna altri terrificanti vestiari).
E anche se quella frase di Anna preluderebbe a piccanti sequel, tranne qualche casto bacio, nulla sapremo mai di cosa accade nel segreto dell'alcova tra il sarto schizoide e l'ex cameriera senza tette, una sorta di cinquanta sfumature al contrario dove tutto sfuma tranne gli istericismi troppo spesso gratuiti di sarto e clienti.
Il tutto pervaso da una vaga sindrome di Stoccolma, dove il sarto strambo dalla guida demenziale e dalle colazioni ipercaloriche, dovrà prendere coscienza della sua dipendenza da Alma, fino a quando le dosi di questo amore col bilancino diverranno letali.
Lo spettatore intanto potrà illudersi di aver assistito ad un capolavoro vicino tanto così all'Oscar, oppure prendere atto che gli eccessi non possono pagare, ne' in sartoria ne' dietro la macchina da presa, ma questo è Anderson del resto (Magnolia insegna), e anche questo un film “cucito su misura” per i suoi fans.
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