Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Per Reynolds Woodstock fare il sarto è una malattia di cui egli non fa mistero. Ad Alma, che ha appena conosciuto e che gli chiede di spiegargli perché fare vestiti gli impedisca di sposarsi, l’uomo si limita ad ammettere la propria incurabilità. L’assunto che fa da premessa a “Il filo nascosto” è essenziale per capire il nuovo film di PT Anderson. Il regista di “Vizio di forma” vi stabilisce il quadro “clinico” entro il quale prende forma il legame tra Reynolds e Alma, quest’ultimo, determinato dalla propensione “patologica” del loro innamoramento, e, come si vedrà nel corso della storia, viziato, dal rapporto di dipendenza reciproca tra le parti in causa. La scelta di presentarci un sodalizio incentrato su un’affezione di natura psicologica - quella di Reynolds, incapace di emanciparsi dalla condizione di orfano nella quale è rimasto dalla prematura morte della madre - e su una simbiosi emotiva simile a quella che si potrebbe instaurare tra medico e paziente, sembra discendere dal tipo di famigliarità esistente tra Freddie Quell e Lancaster Dodd in “The Master” (anch’esso ambientato negli anni 50) . Con la differenza che, ne “Il filo nascosto”, non solo la vicenda si svolge all’interno di una cornice chiara e istituzionalizzata (a differenza della prima, ambigua e mai dichiarata) ma con la spartizione dei ruoli di vittima e carnefice (come pure di Padre e padrone) destinata a mutare nel farsi degli eventi, con Elma pronta a prendere il posto dell’edonista e tirannico Reynolds quando si tratterà di salvare lui e la loro relazione dai fantasmi che ne minacciano la stabilità.
Da sempre a suo agio con personaggi dalla personalità borderline, Andersonquesta volta si supera mettendo a punto un dispositivo ultra controllato che gli permette di esplorare i meandri della psiche umana pur rimanendo sulla superficie del visibile. In questa maniera ogni azione o comportamento diventa il riflesso di qualcosa di più nascosto e represso, che le immagini fanno coincidere con l’irreprensibile manifestazione del galateo vittoriano. Utilizzando il sonoro e la colonna musicale (del solito Jonny Greenwood) quale cassa di risonanza del subconscio dei protagonisti, il regista ridisegna lo spazio della percezione togliendo al reale i normali punti di riferimento e aumentando la valenza psichica di ciò che vediamo sullo schermo. Se per Reynolds l’amore (coniugale ma anche materno) combacia con il confezionamento degli abiti realizzati nel suo atelier, “Il filo nascosto” diventa innanzitutto la messa in scena dell’eros e del thanatos che lo riguarda. Summa di una filmografia aliena al contesto della produzione cinematografica contemporanea.
(icinemaniaci.blogspot.it)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta