L’uscita di 50 sfumature di rosso, avvenuta in sordina rispetto al clamore pubblicitario suscitato dai precedenti capitoli della saga dedicata a Christian Grey (Jamie Dornan) e Anastasia Steele (Dakota Johnson), unita alla scelta di evitare l’esordio nel giorno di San Valentino (com’era capitato nelle scorse occasioni), la dice lunga sulle precauzioni rivolte dal mondo del cinema rispetto alle storie che mettono in scena il sesso tra uomini e donne. D’altro canto è rassicurante constatare come il film in questione abbia avuto una distribuzione libera da censure e garante della sua visibilità, tenendo conto degli spettri che poteva suscitare la presenza di una pratica sessuale come quella prediletta da Christian Grey e Anastasia Steele, basata per l’appunto sulla (consenziente) sottomissione fisica e psicologica della partner femminile, oltre che sull’impedimento della sua libertà di movimento. Lungi dall’essere una dimostrazione di democrazia e lungimiranza da parte del mercato, la spiegazione di tale comportamento la si potrebbe trovare provando a entrare nella stanze degli amanti, ragionando su quello che in effetti succede nell’alcova filmata da James Foley. E qui sta il punto, poiché, a fronte di una campagna pubblicitaria che aveva sbandierato la trilogia come la nuova frontiera della trasgressione erotica, 50 sfumature di rosso è l’espressione di una volontà che se non va in direzione opposta, poco ci manca. E questo, non perché ciò che promette in termini di fantasie e nudità venga poi condizionato dall’impossibilità di dare seguito a tali premesse, per il fatto di dover fare i conti con le caratteristiche mainstream del progetto, e quindi con l’obbligo di incontrare i gusti di un pubblico popolare e trasversale. Al contrario, lo spazio per osare ci sarebbe pure stato, come ha dimostrato per esempio Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson, capace di affondare la macchina da presa nell’amplesso sessuale, rimanendo nei termini del lecito e, addirittura, ricevendo i consensi e le nomination dell’Academy, notoriamente puritana quando si tratta di affrontare certi temi.
In realtà, l’ultimo capitolo della serie in questione rafforza l’idea di un progetto che sotto mentite spoglie mira a rassicurare lo spettatore, spinto a identificarsi con i due protagonisti non tanto in termini di eros e di preferenze sessuali, quanto piuttosto per la condivisione di orizzonti esistenziali pensati all’insegna della tradizione e del conformismo. Prova ne siano gli eventi clou previsti dalla sceneggiatura, ovvero il matrimonio (da favola) tra Christian e Anastasia con cui si apre il film e poi, verso la fine, la scoperta (si fa per dire) dell’inattesa gravidanza che sulle prime sembra mettere a rischio l’indissolubile unione della coppia. Persa la carica di novità introdotta dalla particolarità del menage messo in campo, Foley e i suoi collaboratori completano il processo di normalizzazione iniziato con il secondo film, soffermandosi dapprima sui cambiamenti della vita minuta, che vede Christian e Anastasia calati anima e corpo nel ruolo di marito e moglie e, successivamente, raccontando il processo di assestamento che permette agli sposi di assorbire la prospettiva di diventare genitori.
Detto che 50 sfumature di rosso si mangia in un sol boccone la suspense della componente thriller, disfacendosi velocemente della minaccia rappresenta da Jack Hyde (l’ex capo in cerca di vendetta per il licenziamento dalla casa editrice di proprietà di Christian), a essere paradossale per un film del genere è l’incapacità delle immagini di farsi carico del desiderio insito nella personalità dei personaggi, tanto convenzionali e prevedibili risultano gli scampoli (perché di questo si tratta) dedicati ai piaceri all’arte amatoria.
(taxidrivers.it)
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