Regia di Kenneth Branagh vedi scheda film
“Forgive me, I'm Belgian.”
UK by US – Indagini in Unità di Tempo e Luogo (in movimento e non).
- “Murder on the Orient Express” (Christie, 1934; Lumet/Dehn, 1974; Branagh/Green, 2017)
- “Death on the Nile” [Christie, 1937; Guillermin/Shaffer, 1978; Branagh/Green, 2020 (2022)]
- “See How They Run” [Christie, 1952 (“the MouseTrap”); George/Chappell, 2022]
- “A Haunting in Venice” [Christie, 1969 (“Hallowe'en Party”); Branagh/Green, 2023]
La Storia è nota. Kenneth Branagh, regista e attore (qui nei panni di un Poirot jurychechico) stakanovista (da poco prima del “Murder” a poco dopo il “Death” ha partecipato come attore a 3 Nolan - Dunkirk, Tenet, Oppenheimer - e ha diretto lo squotilancico “All Is True”, riservandosi il ruolo del Bardo protagonista, l’harrypotterico “Artemis Fowl”, comparendo in una piccola parte, e il johnboormaniano “Belfast”, in attesa di "A Haunting in Venice") che in generale amo sin dagli esordi cinematografici del suo “Enrico V” immerso nel fango wellesiano, ci aggiunge quel tocco shakespeariano quando fa pronunciare a una isabellaferrarica Michelle Pfiffer la climatica frase “Let it end with me.”
Completano il cast Johnny Depp, Penélope Cruz, Willem Dafoe, Judi Dench, Derek Jacobi, Daisy Ridley, Olivia Colman, Tom Bateman, Josh Gad…
Fotografia di Haris Zambarloukos (sodale di Branagh da un decennio prima di questo lavoro sino ad oggi), montaggio di Mick Audsley (Gilliam, Jordan, Frears, Newell, Madden, Zemeckis e qui alla prima e fin'ora ultima collaborazione con Branagh), musiche Patrick Doyle (sodale da sempre, sin dagli esordi, di Branagh), scenografia di Jim Clay e costumi Alexandra Byrne. Co-produce Ridley Scott e distribuisce Fox.
Se “Murder on the Orient Express” fosse la prima trasposizione (qui ad opera del Michael Green di "Kings", "American Gods" e "Blade Runner 2049": una serie non ci avrebbe risparmiato la profluviante sequela di flashback “esplicativi” sul passato dei protagonisti, ognuno col proprio movente didascalizzato, mentre qui, in un film di neanche 2 ore, ognuno è risolto con pochi frame dedicati) del romanzo di Agatha Christie del 1934 allora sarebbe un'opera(zione) più che discreta, invece il primo capitolo di questo "cinematic universe" si lascia godere, e "basta": passa, si ferma e se ne va (come un wagon-lit).
“Forgive me, I'm Belgian.”
* * ¾ (***¼)
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