Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film
Film di montaggio che racconta in cinque capitoli l’amore del regista verso il cinema.
“Cosa avrà voluto dire?” è la tipica domanda che lo spettatore di un film di Jean-Luc Godard, specie del Godard del ventunesimo secolo, si pone al termine della visione; mai come in questo caso tali parole risultano comprensibili. Le livre d’image, cominciato nel 2016 e portano a termine due anni più tardi, quando il regista va per gli 88 d’età, può essere considerato come un testamento artistico contenente una metacinematografica dichiarazione d’amore per il cinema, a opera di chi la settima arte l’ha studiata a fondo, analizzata più e più volte, raccontata a modo suo e soprattutto reinventata. Da questo punto di vista Godard non smette mai di stupire; quanto al film in sé, però, si capisce perfettamente la decisione della giuria di Cannes di non premiarlo – era in gara per la Palma d’oro – se non con un Premio speciale inventato ad hoc: troppo sperimentale, troppo criptico, troppo sopra le righe sia dal punto di vista della forma che da quello dei contenuti, Le livre d’image fa indubbiamente impazzire certi critici e i sostenitori godardiani a oltranza, ma non può risultare in alcun modo (né vorrebbe, sia chiaro) appetibile per un pubblico mediamente ampio. Un’ora e mezza di ritagli di vecchi film e manipolazione delle immagini in postproduzione, con un finale a sorpresa che racconta una sghemba fiaba mediorientale dalla morale, tanto per cambiare, fumosa: questo è JLG, per fortuna o purtroppo. 5/10.
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