Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 2018 - CONCORSO
Giunto ad una età che corrisponde ormai pressoché ad un'epoca storica, e preservando una lucidità fuori dal comune che gli consente di formulare considerazioni e bilanci a proposito di un mondo dominato senza sosta da violenze, massacri, e da quell'inarrestabile desiderio di prevaricazione da parte di una specie umana incapace di trarre dagli errori del passato una coerente e più consona regola di vita, il vecchio cineasta si serve del cinema, quello medesimo che così mirabilmente nel corso della sua straordinaria carriera ha contribuito a creare, per dire la sua verità, borbottandola con l'ormai proverbiale scontrosita' con cui da sempre e sempre più accanitamente durante la vecchiaia il grande vecchio è solito presentarsi, per rare occasioni, dinanzi al mondo che lo ammira con la naturale soggezione che egli sa certamente di incutere verso l'esterno.
Cinema suo o di grandi colleghi che Godard frantuma, sfoca, satura, sminuzza e trita fino a disintegrarne i colori. Cinema che mescola assieme ad altre forme d'arte, come musica e pittura, per fornirci una personale lettura del vizio umano di vivere prevaricando chi ci circonda e ci contraddistigue, ognuno a suo modo.
La forma della narrazione è diretta ad una ricerca spasmodica di definizione già da diverso tempo con Godard che, di recente, aveva proprio voluto dare un "addio al linguaggio", facendosi trasportare dalla forza delle immagini che diventano oggi, più di sempre, appannaggio di chiunque grazie ad un progresso e a tecologie ormai a disposizione di chiunque, e che, proprio per questo, ci rendono artisti autonomi e fai da te, ma anche esseri sempre più soli e disagiati, inquieti, insicuri.
"Cosa succede amico mio.
Cala la sera.
Le vacanze finiscono.
Mi serve una giornata per fare la storia di un secondo.
Mi serve un anno per fare la storia di un minuto.
Mi serve una vita, per fare una storia di un'ora.
Mi serve l'eternità per fare la storia di un giorno".
Il linguaggio è morto e la narrazione è destinata a parlare inevitabilmente e necessariamente per immagini.
"Mais la lingue ne sera jamais le language" Godard non fa nulla per farsi amare, ora più che mai, ora che l'età l'ha reso un vecchiaccio ispido e ancor più asociale di quanto non potesse risultare da giovane cineasta dotato e insensibile, se non proprio estraneo, ai richiami commerciali che invece catturavano molti suoi colleghi e rivali.
Un cineasta che ora, vicino ad una fine di cui certo comprende più di molti altri, ma le cui inevitabili lacune tipiche di una imperfezione umana da cui non può nemmeno lui esimersi, lo lacerano più di chi nemmeno cerca di sforzarsi a capirne i tratti con la saggezza di uno sguardo rivolto al passato vissuto e compreso, non intende cercare indulgenze o patetiche tardive celebrazioni.
D'altro canto un genio lo è sempre stato, riconosciuto come tale anche da chi non riesce a digerirlo o semplicemente a decifrarlo.
Genio per nulla incompreso, dunque, solo quasi sempre incomprensibile, almeno nell'ultimo ventennio (abbondante), qui ancor di più se solo ci si dispone a seguire i suoi borbottii quasi indecifrabili, il suo parlare strascicato di uomo che probabilmente ha capito quasi tutto, ma non è in grado di riuscire a sintetizzarlo per farlo comprendere a noi, semplici comuni mortali, incapaci di coglierne, ed apprezzarne le sfaccettature basilari, intuendone al massimo un senso generale, il filo vago di un discorso assai complesso e spesso duro da poter condividere, specie quando ci rivela verità o covinzioni personali dure, difficili da accettare in qualsiasi contesto le si voglia ricomprendere, del tipo:
"Per quanto mi riguarda, sarò sempre dalla parte delle bombe".
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