Regia di Ruben Östlund vedi scheda film
Opera imperfetta ma imperdibile se si vuole fare il punto della situazione in un contesto storico e mediatico cruciale come quello che stiamo vivendo, in cui il panorama e l’essenza stessa della comunicazione (e dell’arte) audiovisiva sono mutati sensibilmente. “The square” è un film-saggio nello spirito, se non proprio nella lettera. E’ un gruppo di discussione su temi attuali che riguardano l’evo digitale, la rete, i social, l’industria culturale e il suo rapporto con la pubblicità, i rapporti di potere nel mondo dei media (che include e fagocita altri mondi, da quello dell’arte a quello della politica), le questioni inerenti alle varie minoranze e al politically correct: Ostlund snocciola in maniera ora brillante ora didascalica, ma sempre “performativa”, tutti questi “hashtag”, per articolare un discorso più alto, urgente e filosofico al contempo, sul concetto di responsabilità, sull’obbligo morale dell’artista (ma anche di tutti gli altri comunicatori, di tutti gli attori mediali) di intervenire nella realtà per aiutare chi ne ha bisogno.
Mutuando da Haneke (maestro forse sommo del cinema europeo contemporaneo, padre di tante leve degli anni 10, a partire da quelle elleniche) la narrazione ellittica ed “amnesica”, le inquadrature asettiche, i momenti scopertamente brechtiani, la violenza che irrompe all’improvviso in varie forme (il molestatore dell’incipit, il bambino accusatore che pare venire dritto da “Cachè”, la bestia-umana Oleg), e mettendoci di suo tempi ultra-allentati per permettere al discorso teorico di dispiegarsi appieno, un sapiente utilizzo dello humour (presente anche nell’acerbo “Forza Maggiore”), ascendenze da mai sopiti furori Dogma95 (il Vinterberg di “Festen”?), ma soprattutto uno storytelling che si disfa strada facendo, interferenze acustiche e diegetiche, lunghe digressioni meta-testuali: sono tutti consapevoli portati dell’era dei social tossici, della rete onnipresente, della distrazione imperante, del rumore di fondo dal quale pare impossibile liberarsi, di una connettività ossessiva, vampiresca, tentacolare, tradotti efficacemente da Ostlund in un linguaggio filmico il più neutrale, passivo ed arrendevole possibile. C’è del didascalismo, si diceva, in varie fasi: il confronto fra Ann e Chris è una trasparente allegoria del “#metoo”; dice cose scontate (i rapporti squilibrati di potere fra uomini e donne) ma il fatto è che è coinvolgente dal punto di vista della performance cinematografica (attoriale, registica, acustica, scenografica etc…).
E qui si arriva al punto cruciale. In un’opera che pare tutto tranne che un film, nemmeno nella sua accezione piu sperimentale (il film non ha quasi nulla di originale sul piano stilistico, essendo una mera piattaforma per un discorso cross-mediale e affacciato sul presente, quando non immerso in esso), un’opera che avvince per i contenuti e non per le forme, ecco che arriva, improvvisa e apparentemente gratuita, una delle sequenze cinematografiche più belle, coinvolgenti, sconvolgenti, originali del cinema contemporaneo: la molestia della bestia umana Oleg, altro sublime “performer”, ai danni della platea di radical chic, è uno dei pochi episodi (nell’immaginario logoro, derivativo, “già visto” del cinema e della tv contemporanea) in grado di appassionare alla Settima Arte, di generare vocazioni alla regia, alla critica o alla semplice passione per il cinema. Un interminabile, intenso, straziante momento di sospensione dell’incredulità, di ipnosi spettatoriale, di ambiguità fra finzione e realtà, tra farsa e tragedia. Una sequenza, mirabilmente diretta e interpretata anche dalle comparse, che non lascia strascichi nel proseguio del film, ma che ne è la sintesi eloquente: l’Arte può eccome intervenire nel reale, ma qualcuno ne deve pagare il prezzo. Chi invece non può più intervenire nel reale è Chris: per atroce paradosso, nel mondo della rintracciabilità assoluta, dei gps, della rete a cui nessuno sfugge, le persone a cui Chris avrebbe voluto chiedere scusa (sinceramente? o solo per fare da esempio alle figliolette?) hanno cambiato casa e non sono più rintracciabili.
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