Regia di Ruben Östlund vedi scheda film
Una sorta di amara "commedia" dalla tessitura metaforica ambigua nei dettagli (che significa la scimmia? Semplicemente il diverso con cui non vogliamo relazionarci? A me ha ricordato un vecchio film di non ricordo più chi) ma alla fine abbastanza limpida nel suo disegno generale. Il film premiato con la Palma d'oro a Cannes, sembra mettere alla berlina l'asfissiante regime del politicamente corretto, in effetti il regista Ostlund ridicolizza tristemente gli apparati e le pratiche dell'arte contemporanea, in quanto scialba attività dedita all'uso e consumo delle elite borghesi annoiate, che si recano alle conferenze solo per il buffet e si credono portatrici di sentimenti umanitari, perchè fingono timidamente di godersi il "quadrato" dell'amore e dell'inclusione, di cui porta il titolo il film. In effetti l'apparato marketing del museo, che il curatore protagonista gestisce, cerca di vendere delle nullità estetiche coi video virali di bimbe immigrate che esplodono, condendo il tutto di chiacchere inconsapevolmente amorali di cui i dipendenti stessi sembrano ridere sotto i baffi.
Il curatore del museo, è invece un bravo ragazzo dai riflessi umanitari condizionati, ma anche per lui, preso ed immerso nel meccanismo, non ci sarà catarsi, anche perchè non sembra riuscire più a distinguere tra realtà ed esibizione artistica. Il merito principale del film per me è proprio questo, confondere i due piani: da un lato la realtà provocatoria dell'esclusione sociale, e dall'altro la performance artistica provocatoria che dovrebbe turbare e scuotere le coscienze. Nessuno riesce più a cogliere la differenza, nè lo spettatore nè il protagonista, da cui appunto la scarsa presa sul reale da parte dei personaggi e la catarsi finale mancata. Il film dice tutto ciò con lo stile di un'installazione d'arte moderna, ossia con uno tendenzialmente algido, frammentario, cerebralmente comico (che stramberia la sequenza del preservativo usato), geometrico e sarcasticamente provocante. La regia gioca coi geometrismi moltiplicando i riquadri e le spirali, e dilata i tempi delle gag in una maniera che mi ha ricordato un po' i vari film di Blake Edwards: buffa in tal senso la scena in cui la giornalista americana si lamenta del suo lui, interrotta dal frastuono retrostante. Altrove vige invece un regime di suspense e tensione giocato sul fuori campo (o, meglio, fuori dal quadro, in cui vivono poveracci variamente "minacciosi"), e si veda la scenetta in macchina a metà percorso. Simpatica l'esibizione scimmiesca, che ovviamente turberà i borghesucci seduti al tavolo, ma senza scuotere davvero nessuno. La Svezia è un rettangolo (comunicano solo i lati uguali, cioè tra simili quindi), ma il regista vorrebbe tanto che divenisse un quadrato (basta vedere l'inquadratura della tromba delle scale a spirale che formano un rettangolo, ma il movimento di camera ascendente verso l'alto, trasforma esso in un quadrato, ma è solo un'astratta illusione ottica dettata dall'artificialita' della lente della macchina da presa).
Tra rettangoli concreti e quadrati astratti, la fugura della Svezia attuale , però a mio avviso sarebbe una spirale (scena centro commerciale) o un cerchio (scena a tavola nel museo); dove ognuno segue il flusso, cercando di non fuoriuscire mai da esso.
Non so... m'è parso un film che per lanciare un messaggio semplice (con tanto di iper-spiegone del protagonista ad un certo punto, che però ipocritamente ne vuole fare da un problema personale una colpa collettiva), cerca una forma geometricamente astratta. Forse troppo per quel che alla fine vuole farci partecipe.
The Square risulta abbastanza discontinuo ma nel complesso apprezzabile, ha in fondo lo stesso difetto dell'installazione al suo interno, rimarrà cioè una sofisticata "denuncia" surrealeggiante goduta (forse) da un pubblico sofisticato prima di recarsi eventualmente al buffet.
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