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The Square

Regia di Ruben Östlund vedi scheda film

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La recensione su The Square

di siro17
8 stelle

Un film diabolico e perverso come la realtà. Imperdibile.

 

E poi ci sono film come The Square che escono dai canoni della fruibilità, dell’emozione ruffiana, della compiacenza democratica. Così era stato anche lo straordinario Forza Maggiore, ma con The Square il regista Ruben Östlund va ben oltre buttandosi in un terreno dove si avvicendano fatti nei fatti, racconti nei racconti, opere d’arte in opere d’arte. Lo spettatore è sballottato in uno shaker, poi deciderà lui cosa perseguire. La sala è spesso in brusio, qualcuno si alza ed esce, qualcuno resta nell’attesa - poi frustrata - del finale consolatorio e di chiusura del cerchio, insomma ci sono più motivi per restare senza un perché e nel limbo. Ma Ruben Östlund è proprio questo che ha voluto: catapultarci nel peggiore limbo della nostra esistenza, leggi la vita di tutti i giorni. La matassa parte (e non si dipanerà mai) dal protagonista, snob e radical chic, direttore di un museo di arte contemporanea che sta organizzando un’installazione fatta da una zona franca (The Square) dove deve trionfare il bene. Un messaggio di speranza quindi che si scontra con una realtà rappresentata dal regista dai fatti simbolici che accadono: lo scippo del direttore a cui segue una vendetta demenziale ma molto punitiva, l’inquietante video per promuovere l’installazione, l’arte che si ribella (prendendosi in giro e provocando sonore risate) nella stratosferica scena dello scimmione, il surreale scambio di opinioni fra il direttore e una donna dopo una notte di sesso, i frequenti rimandi a contesti di emarginazione come contraltare di mondi fasulli, il ripristino di un opera d’arte fatta di mucchi di sabbia, le figlie costantemente depresse del direttore effetto collaterale di una separazione, la vacuità di una presentazione in pubblico e l’insensibilità del pubblico stesso di fronte a un disturbato mentale. Un ginepraio di accadimenti che suscitano pugni nello stomaco e che lasciano un disagio profondo, stigmatizzato da una delle scene finali nelle scale di un condominio. Siamo di fronte ad un film altissimo (meritata Palma d’Oro a Cannes) ma non facile da scalare.

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