Regia di Mario Brenta vedi scheda film
Milano, fine anni '80. Anita, una giovane madre single, nei momenti in cui è libera dal lavoro in una piccola manifattura e dalle inevitabili faccende domestiche, cerca un po' di svago nei locali o tenta di rafforzare legami con qualcuno a cui tiene; ma nulla è facile, anche perchè è contemporaneamente costretta a badare al figlioletto Maicol. Una sera, il bambino sfugge al controllo materno ed inizia a vagare all'interno della rete della metropolitana. Il regista Mario Brenta dirige un'opera di breve durata la quale utilizza la narrazione di una piccola disavventura per descrivere stili di vita e spicchi di quotidianità di una Milano di alcuni decenni fa; metropoli ordinata, razionale, funzionale ad una buona qualità della vita dei suoi abitanti e fruitori. Tale bontà è, tuttavia, solo esteriore. Non lenisce la solitudine, l'indifferenza, la difficoltà nello stringere o conservare relazioni. La protagonista annega la propria esistenza in un quotidiano ripetersi delle stesse dinamiche. Un lavoro, un turno del quale è in grado di fiaccare, per noia, ogni possibile entusiasmo mattutino; i doveri della quotidianità, complicati dalla presenza di un bambino, cui la donna presta attenzione con una certa svogliatezza; di fronte alle piccole intemperanze infantili, agisce in modo da evitare il conflitto e lasciando l'educazione in secondo piano. La spesa, le faccende domestiche; lotte per il parcheggio e la costante attenzione alle economie, lo stipendio consente di vivere, ma non sono ammessi sperperi. Nei momenti in cui la morsa degli impegni si allenta, la protagonista cerca di ricavare del tempo per sè, per il suo svago e la sua crescita; ma non è facile. L'attuale compagno non le è fedele, altre persone non le danno considerazione. Inevitabilmente, la presenza di Maicol è un intralcio alla sua vita sociale, sia materiale, sia morale; non potendo fare diversamente, ella lo conduce con sè. A causa di un evento imprevisto e spiacevole, ne rimane separata. Mentre la ragazza inizia, con fare fin troppo pigro, la ricerca del bambino, egli vaga salendo e scendendo dai vagoni quasi del tutto deserti delle metropolitane cittadine. Seppur in apprensione, Maicol mai appare molto agitato, evidentemente abituato e forse consapevole di dover cavarsela da solo. Paradossalmente, è dopo il rintraccio da parte della polizia che Maicol, compreso che il tempo di quell'effimera libertà è finito, entra in difficoltà. Il bambino, dallo sguardo leggermente strabico, d'indole molto tranquilla, è interpretato da Simone Tessarolo; è anch'egli solitario, quasi rassegnato a quella sorte cui la mamma Anita - Sabina Regazzi - tenta inutilmente - e, in realtà, senza troppo impegno - di sottrarsi. Il ritmo pacato della narrazione, le poche parole, gli sguardi, i colori freddi e spenti, non trasmettono speranza. L'idea è quella di un lento fluire delle cose, di vite che si consumano tra giorni sempre uguali, spente dalla mancanza di stimoli e dal non dover lottare per soddisfare bisogni primari. Il regista racconta così la seconda metà degli anni '80; il decennio non ha nulla di più da offrire, le premesse che portarono agli eventi degli anni successivi non sono rappresentate; forse neppure immaginabili, e di certo non d'interesse dei passivi personaggi di questo film.
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